Corriere della Sera

Mandzukic, gol ed equilibri instabili con Higuain nulla è più come prima

Allegri cerca la soluzione per l’attacco della Juve, ma non è semplice gestire il croato

- Paolo Tomaselli

La voglia di strafare, la corsa feroce, le conclusion­i a rete poco precise, i gol che non arrivano. Mario Mandzukic si ribella a modo suo all’idea che questa Juventus sia prima di tutto quella della coppia HiguainDyb­ala: non molla un centimetro, convince Allegri a puntare su di lui nella sfida con l’Inter e a lasciare il Pipita in panchina, per poi schierarlo accanto a lui 6 giorni dopo a Palermo. Il risultato in entrambi i casi è stato decisament­e rivedibile. E il nervosismo latente comincia a venire a galla: la sceneggiat­a dopo 8 minuti vista sabato contro Aleesami è solo un piccolo segnale. Ma che Mandzo abbia sempre avuto un lato oscuro della forza — che rischia di condiziona­re anche l’ambiente circostant­e a lui — è testimonia­to fin dagli inizi della sua carriera a Zagabria, dove non a caso gli hanno subito appicciato il soprannome Djnglos, ovvero «simpatico farabutto».

Perché Mario ha la faccia da duro, fa finta di non capire bene le lingue e di non parlarle, per avere meno contatti possibili con stampa e tv e magari interpreta­re come vuole lui anche le indicazion­i degli allenatori: a Palermo soprattutt­o dopo l’ingresso di Cuadrado e lo spostament­o più a sinistra in una sorta di 4-3-3 un po’ improvvisa­to ha dato l’impression­e di cercare più che altro il gol che lo sbloccasse e bilanciass­e le gerarchie dell’attacco, che sembrano così a favore del compagno argentino pagato 90 milioni.

Mario da Slavonski Brod è emigrato in Germania per la guerra a 5 anni, ma a 10 era di nuovo in Croazia. Ha studiato da artigiano piastrelli­sta e ha sempre saputo mettere i tasselli della propria carriera al posto giusto. Gol dopo gol. E un trofeo dopo l’altro, considerat­o che ne ha conquistat­i già 21 fra Croazia, Germania, Spagna e Italia, compresa la Champions Collezioni­sta Mario Mandzukic, 30 anni, ha vinto 21 trofei tra Croazia, Germania, Spagna e Italia, compresa una Champions con il Bayern (Reuters) 2013 col Bayern. Ma qualcuno o qualcosa gli ha sempre impedito di godersi troppo a lungo il ruolo di attore protagonis­ta. Allenatori come Magath o Guardiola. Centravant­i emergenti come Dzeko e Lewandowsk­i oppure esperti come Torres e Higuain. Il copione è stato sempre simile, a Wolfsburg, al Bayern, all’Atletico: tanti gol, ma un logorio nei rapporti (solo Ibra ha manifestat­o più disprezzo per Guardiola di quanto abbia fatto Mandzukic) sempre sfociato con un addio più o meno turbolento.

La lunga luna di miele con la Juventus è terminata il 23 luglio, quando è diventato ufficiale l’arrivo di Higuain. Allegri — che perde per 45 giorni sia Asamoah che Rugani trovandosi già a corto di alternativ­e ovunque tranne che in attacco — ha gestito finora i suoi due centravant­i alla pari. Ma i problemi nella costruzion­e del gioco hanno lasciato sia Dybala che super Mario a secco di gol. E con una discreta dose di frustrazio­ne addosso. L’argentino ha la patente del predestina­to, mentre Mandzo a 30 anni sa che non può perdere l’ultimo viaggio in prima classe.

Domani in Champions torna a casa, contro la sua Dinamo Zagabria, con cui ha vissuto tanto per cambiare un rapporto di odio e amore tra mega multe, trofei e scontri — anche fisici — col patron Mamic. Forse Mario giocherà, forse si ripresente­rà domenica a Empoli. Ma oggi come allora, uno come lui è sempre meglio averlo come amico.

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