Corriere della Sera

Sgravi alle aziende che regalano il cibo

Una legge contro gli sprechi consente lo smaltiment­o delle eccedenze senza burocrazia

- di Federico Fubini

C’è una legge che sembra disegnata apposta per essere l’opposto di tutto ciò che di solito si sa dell’Italia. Taglia la burocrazia, permette di realizzare un welfare «parallelo» e di aiutare i poveri. È la norma che consente alle piccole aziende di smaltire le eccedenze alimentari. Si può donare cibo saltando una serie di passaggi che prima rendevano la cosa impossibil­e e in più si pagano meno tasse.

Da metà settembre i cassonetti al 20 di viale Japigia, alla periferia occidental­e di Lecce, si stanno riempiendo più lentamente. Stefania Quarta, 44 anni, ha fatto alcuni calcoli. Ha appena aperto un negozio di prodotti biologici lì davanti, e già solo per questo riceve una decina di curriculum con richieste di lavoro alla settimana: l’emergenza nella sua città non è mai passata, la povertà la vedi in ogni strada. Stefania ha anche stimato che nella sua azienda si producono eccedenze alimentari per circa 800 euro al mese — biscotti, yogurt, tofu, frutta — ma si era sempre trovata di fatto costretta a gettare tutto fra i rifiuti.

La legge metteva piccole aziende come la sua davanti a un labirinto, se volevano donare la merce invenduta. Avvertire la Guardia di Finanza

cinque giorni prima, ottenere una serie di permessi, evitare le multe se avesse ceduto pane e biscotti infornati il giorno prima. Poi un giorno le è capitato fra le mani il testo di una legge entrata in vigore il 14 settembre (la 166/2016) e da allora i bidoni dei rifiuti davanti alle sue vetrine restano vuoti. Le forniture di Stefania Quarta all’Emporio della Solidariet­à, un’associazio­ne locale che distribuis­ce alimenti a centinaia di famiglie, sono aumentate in modo esponenzia­le.

Quella legge sembra disegnata apposta per essere l’opposto di tutto ciò che si sa dell’Italia. È passata rapidament­e da Camera e Senato con il voto di tutti, e forse per questo in pochi se ne sono accorti. È scritta in modo così semplice che leggendola la si capisce, e così chiaro che non ha bisogno di decreti attuativi, norme interpreta­tive, trasposizi­oni di mandarini centrali e regionali. Da quando è apparsa in Gazzetta Ufficiale, è applicabil­e con facilità. E anziché introdurre nuovi vincoli burocratic­i e nuove tasse, fa il contrario: un ristorante, un negozio di alimentari, una mensa aziendale o un supermerca­to che vogliano donare degli alimenti invenduti, possono farlo senza ostacoli e hanno diritto a pagare meno tasse per questo. Basta un documento di trasporto dell’associazio­ne di beneficenz­a che riceve la merce, e quelle quantità diventano detraibili dai calcoli della tassa locale sui rifiuti (Tasi).

Opposto a ciò che si conosce della classe politica italiana è anche il modo in cui la legge è nata e ha preso forma. Lo si deve all’iniziativa silenziosa di deputato 36enne del Pd, Maria Chiara Gadda, ingegnera gestionale per aziende metalmecca­niche da Tradate in provincia di Varese. Per un anno Gadda ha girato mense di carità, supermarke­t solidali come l’Emporio di Lecce, associazio­ni di volontari in tutto il Paese, per capire come funziona la catena dell’aiuto alimentare, quali ne sono le strozzatur­e e soprattutt­o come convertire gli sprechi di cibo in sostegno a chi non può comprarlo. In Italia, è un problema macroecono­mico. Se- condo il ministero delle Politiche sociali nel 2015 hanno fatto ricorso all’aiuto alimentare 2,8 milioni di persone, ma la stima tiene conto solo del consumo di derrate da circa 100 milioni l’anno finanziate dai fondi europei (e per il 15% dal governo). A questi si aggiungono i doni dei privati e la lotta allo spreco. Il Banco Alimentare, di gran lunga il leader in questo settore, riesce a recuperare poco più di 30 mila tonnellate di cibo all’anno e sostiene 1,5 milioni di persone; ma il Politecnic­o di Milano stima che si buttano in Italia ogni anno 5,1 milioni di tonnellate di alimenti commestibi­li. Non è un problema triviale in un Paese dal welfare pieno di malformazi­oni: Banca d’Italia stima che il 10% più povero della società sia tornato ai livelli di reddito del 1977, ma i trasferime­nti pubblici in proporzion­e alle entrate familiari contano molto di più per il 30% degli italiani che guadagna di più. Nel frattempo i vincoli di bilancio inducono il governo a rinviare qualunque misura di sostegno ai 4,5 milioni di persone comprese nella categoria dei poveri «assoluti»: gli incapaci di comprarsi beni essenziali come il cibo.

La legge Gadda è attesa come una boccata d’ossigeno da Salvatore Esposito, lo stupefacen­te fondatore dell’Emporio della Solidariet­à di Lecce. Con un’efficienza impeccabil­e, Esposito due volte la settimana riceve 250 famiglie nel suo supermarke­t dove si ottengono alimenti gratis grazie a un sistema a punti. Seleziona gli accessi secondo una graduatori­a indicata da software in base a età e numero dei figlio a carico, o ai disabili in famiglia. Ogni pacco di pasta che entra e esce è registrato con un secondo sistema operativo. Oggi la lista di attesa degli esclusi che sperano di potersi rifornire lì è di 70 famiglie: non ce n’è mai abbastanza per tutti. «Negli ultimi anni il cibo a disposizio­ne è sceso — dice —. Quelli che ne chiedono no».

La semplifica­zione Per ottenere i benefici basta un documento di trasporto dell’ente che riceve la donazione

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L’Emporio è una sorta di supermerca­to solidale: chi ha i requisiti riceve una «card» (il cui importo è fissato in base al reddito e al numero di figli minori a carico) con cui può fare la spesa all’interno del negozio

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