Fuocoammare candidato Sorrentino: masochismo
L’Italia candida «Fuocoammare» di Rosi Giuria divisa. Sorrentino: scelta masochistica
Fuocoammare, il docufilm di Gianfranco Rosi che dovrebbe unire le coscienze sugli sbarchi dei migranti, divide i selezionatori incaricati di designare il film italiano nella corsa agli Oscar. Hanno scelto il film sui migranti e la vita a Lampedusa. Il «caso» è acceso dal premio Oscar Paolo Sorrentino, uno dei nove addetti ai lavori che si sono riuniti all’Anica. «Una scelta masochistica», ha detto, «non dò giudizi sul film di Rosi, che mi è piaciuto. Ma quando il 24 gennaio si arriverà alle nomination, prenderanno il nostro documentario e lo metteranno da parte. E’ stato un segno di debolezza del cinema italiano. E puntando su un altro film avevamo la possibilità di candidarne due».
Si riferisce al fatto che Rosi molto probabilmente sarà candidato anche nella categoria dei documentari. Intanto è entrato nella short list non ufficiale dei documentari dal MoMa e da altri enti culturali USA. Sorrentino ha votato per Indivisibili .«Sono felicissimo, è da otto mesi che giro il mondo e non mi sono mai fermato, ormai è un film di tutti, questa candidatura ha un abbraccio ampio», dice Rosi. Peserà l’amore per il suo film che le manifestò Meryl Streep, presidente della giuria alla Berlinale, quando le diede l’Orso d’oro? «Posso dire ciò che mi sussurrò all’orecchio durante la premiazione: vorrei che tu arrivassi agli Oscar, dimmi cosa posso fare per te».
Ci sono volute quattro votazioni per arrivare a Fuocoammare, che l’ha spuntata di misura su Indivisibili, il film di Edoardo De Angelis sulle gemelle siamesi: 5 voti a 4. E De Angelis, sarcastico e sibillino sul verdetto: «Quando i conti tornano ci trovano qua». Il favorito alla vigilia era Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese, campione d’incassi con 18 milioni e prossimo al remake Usa; ma proprio il remake è stato valutato negativamente, come se l’originale versione italiana, con sottotitoli in inglese, non fosse adatta al pubblico Usa. Già alla seconda votazione il bel film di Genovese era fuori dai giochi, racimolando 1 preferenza. Anche Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, caso dell’anno, alla seconda votazione (quando le preferenze scendono da 3 a 1) era sparito.
In commissione: Nicola Borrelli direttore generale del ministero dei Beni Culturali, il regista Paolo Sorrentino, lo scrittore Sandro Veronesi, i produttori Tilde Corsi e Roberto Sessa, i distributori Osvaldo De Santis e Francesco Melzi D’Eril, i giornalisti Piera Detassis e Enrico Magrelli. Si cerca di mandare avanti chi ha più possibilità di avere una credibilità e un linguaggio internazionale. «Sono contento — dice Rosi — che anche l’Ucraina abbia candidato un documentario. Tante barriere fra i generi si stanno infrangendo». Una rivincita dopo l’amarezza ai David di Donatello: 4 candidature a vuoto? «No, però mi è dispiaciuto che non abbia vinto Jacopo Quadri per il montaggio».
In USA uscirà il 21 ottobre, è stato venduto in 60 Paesi, in Italia ha incassato 1 milione. Berlino, ora la corsa agli Oscar: Rosi, che anno ha vissuto? «Un anno assurdo che mi fa una paura enorme. Mi ha impressionato ciò che ha detto Obama: chi costruisce un muro costruisce una prigione per se stesso. Vorrei fare mie queste parole, spero che accompagnino il cammino del mio film».
Quando il 24 gennaio si arriverà ai 5 finalisti l’Academy prenderà il nostro documentario e lo metterà da parte È stato un segno di debolezza Sorrentino