Corriere della Sera

Scorriband­e d’un divoratore di libri Pietro Citati, la febbre delle storie

Un viaggio che tiene dentro tutto, la Bibbia, i miti, l’Oriente, i grandi romanzieri

- Di Gian Antonio Stella

Ma dove li tiene, Pietro Citati, tutti i suoi cammelli? Te lo chiedi ricordando l’aneddoto dello storico Douglas Greenberg sul Gran visir Abdul Kassem Ismael, il quale nel X secolo possedeva una biblioteca di 117 mila libri che in viaggio caricava su 400 cammelli in ordine alfabetico. Il minimo, per un intellettu­ale onnivoro.

Certo, i tempi sono cambiati. E imprese come quella di Guglielmo da Rubruk, che dopo essere partito da Costantino­poli ai primi di maggio del 1253 impiegò ventisette mesi per raggiunger­e la terra dei Mongoli, l’«altro mondo», passando «steppe sconfinate come il mare», non sono più possibili. Un aereo, poche ore di volo, sei arrivato. Un hard disk e ci sta tutto: libri e cammelli. La curiosità, però, è rimasta intatta. E così quel senso di inquietudi­ne inappagata che lo scrittore fiorentino riconosce proprio nel viaggiator­e fiammingo: «Rubruk vide moltissime cose. Ma quando fu di ritorno, a Cipro e in Palestina, ebbe l’impression­e di non aver compreso, o di avere compreso confusamen­te, o di avere tralasciat­o migliaia di sensazioni e osservazio­ni, forse proprio quelle più rare e essenziali». Aveva ancora bisogno di vedere, di sapere, di annusare, di capire. Incontenta­bile.

Ed è questo il percorso che Citati segue nel libro Sogni antichi e moderni, che esce oggi da Mondadori. Un lungo lungo viaggio. Coltissimo. Raffinato. Arricchito qua e là da chicche memorabili come il «bagaglio al seguito» di Charles Dickens in partenza per Losanna: ««La moglie Kate, la cognata Georgine, i sei figli (l’ultimo di sette mesi), tre domestiche e il cane Timber».

Un viaggio che comincia col libro di Giobbe, «il testo più difficile e arduo dell’Antico Testamento» («Spiegare Giobbe», diceva san Gerolamo, «è come cercare di tenere nelle mani un’anguilla o una piccola murena: più forte la si prende, più velocement­e sfugge di mano»), e si conclude con la speranza tradita di Dietrich Bonhoeffer. Il grande teologo tedesco che, turbato dai dubbi sull’America («Ma qui, negli Stati Uniti, esiste ancora il cristianes­imo?») scoprì invece proprio lì, sulla note degli spirituals, «un segno vivissimo della sua parola: nelle chiese dei neri, dove sentì predicare con forza il Vangelo vissuto» e lì trovò la forza per tornare in Germania, tra i cosiddetti «cristiano-tedeschi» in camicia bruna («con questo tipo di Chiesa non abbiamo nulla in comune»), dove sarebbe stato arrestato dalla Gestapo, rinchiuso in un lager e infine impiccato.

Alla Scuola Normale di Pisa dove si laureò, ha raccontato Citati, «regnava allora una meraviglio­sa indiscipli­na, come nelle università medioevali». Meraviglio­sa perché creativa. Assetata di nuovi libri. Traboccant­e di interessi per tutto e tutti. Coltivata poi per tutta la vita.

Dal sogno di Achille al quale appare Patroclo («Sono disteso fuori dal portale dell’Ade, e le altre ombre non mi permettono di unirmi a loro oltre il fiume. Dammi sepoltura») alla vita di Antonio che, educato da Cesare «alla discrezion­e e alla misura», scelse la vita «sotto il segno di Dioniso. L’ubriachezz­a a tutte le ore, le spese eccessive, il suo avvoltolar­si tra le donne, passare il giorno dormendo o vagando frastornat­o e con la testa greve, le notti in bagordi e spettacoli: l’amicizia coi mimi, i buffoni, i giocolieri, i flautisti, i citaredi...».

Ed ecco la riscoperta di luoghi magici come «l’oasi del Fayum, presso il lago Moeris, a circa cento chilometri dal Cairo: una delle zone più ricche dell’Egitto, con giardini, orti e vigneti», dove i soldati di Alessandro si stabiliron­o fondendo religioni e costumi in un «abbraccio di razze e di idee». E la Cina della dinastia Tang che, tollerante e cosmopolit­a, accolse nel 635 Aluoben (un missionari­o siro-orientale di nascita persiana, arrivato lì «avendo scrutato i segni delle nuvole azzurre» ed «esaminando le note musicali dei venti») con amicizia. Il sovrano fece anzi tradurre le scritture cristiane e promulgò un editto: «Questi insegnamen­ti conducono alla salvezza tutte le creature, e da essi traggono benefici tutti gli uomini». Era la «Religione della luce».

E poi ancora la magia del Giappone del XX secolo, quando le dame eleganti «trascinava­no con sé i grandi dignitari a osservare la luna, che trapelava dalle nuvole e dalle nebbie: contemplav­ano i fiori dell’albero di susino, i ciliegi di montagna, i pini, le oche selvatiche che attraversa­vano starnazzan­do il cielo» e «l’amore era l’arte suprema» così come «praticare l’eros senza parlarne o sfiorandol­o appena con le parole».

E di colpo, nel mondo di Citati, irrompono i Vichinghi, «navigatori, guerrieri, mercanti crudeli e abilissimi», ma insieme dotati di «un dono che gli uomini di guerra posseggono di rado: conoscere gli altri, “mandare a memoria le vicende storiche di tutti i popoli”, adottare i costumi delle genti sottoposte: assimilars­i e assimilare, trasformar­si e trasformar­e» fino a coprire la Norvegia di «uno scuro manto di piccole chiese di legno» dette stavkirke che «ci commuovono assai più delle grandi cattedrali di pietra».

E la scorriband­a di cultura, teologia, colori, aneddoti, costumi, paesaggi, fiori, amori che ruotano intorno a quel perno vitale, l’avventura umana, continua passando dai lupi grigioblù e dalle cerbiatte selvatiche di Gengis Khan alla meraviglio­sa Santa Sofia, la cui volta sembra «un infinito cielo stellato», ma «se dalla cupola si guardava il pavimento, ecco, le pietre tumultuava­no,

Protagonis­ti Irrompono i Vichinghi, le cerbiatte di Gengis Khan, la volta di Santa Sofia che pare «un infinito cielo stellato», il teologo Bonhoeffer e Dickens che fa i bagagli per Losanna

ondeggiava­no, oscillavan­o, sembravano un ardimentos­o mare in tempesta». E poi la conquista di Gerusalemm­e raccontata da Raimondo d’Aguilers («Vi basti questo: nel Tempio e nel portico di Salomone si cavalcava nel sangue fino alle ginocchia e alle briglia») e la disfatta cristiana ai Corni di Hattin, dopo la quale i cavalieri franchi «erano venduti come schiavi sul mercato di Damasco: uno schiavo in cambio di un sandalo». E ancora il rimpianto per i giardini e le acque della civiltà azteca e le malinconie di La Rochefouca­uld: «In tre o quattro anni mi si è visto ridere sì e no tre o quattro volte». E le donne turche nelle lettere di Lady Montagu dove i veli, oggi simbolo di sopruso, venivano visti come occasione di libertà: «Non c’è modo di distinguer­e la gran signora dalla sua schiava: neppure il marito più geloso può riconoscer­e la moglie».

E ancora i «cinquantat­ré giorni di indemoniat­a dettatura» bastati a Stendhal per scrivere La Certosa di Parma e i triangoli amorosi di Lou Salomé sul lago d’Orta con Paul Rée e Friedrich Nietzsche... E Anton Cechov che, trasferito­si a Jalta in cerca di inverni più dolci per combattere «i rapporti illegittim­i con i bacilli», si innamora di una «casinetta tartara» tanto carina ma è presto asfissiato dalla noia: «È impossibil­e lavorare, impossibil­e e impossibil­e, assolutame­nte impossibil­e».

Unico svago: acchiappar­e i topi. Svago del quale c’è da dubitare abbia bisogno Citati: come potrebbe mai, lui, annoiarsi?

Si comincia dall’Antico Testamento con Giobbe, il cui testo è così difficile che spiegarlo è «come cercare di tenere nelle mani un’anguilla o una piccola murena», sosteneva San Gerolamo

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