Lo scambio di dati (sì, sono i vostri) tra Facebook e WhatsApp
WhatsApp e Facebook sono due applicazioni separate sui nostri smartphone (e tali rimarranno). A fine agosto, però, la prima ha aggiornato i termini della privacy chiedendoci se eravamo disposti o meno a condividere le informazioni relative al nostro account con la seconda, che la possiede da poco più di due anni. Perché? Per migliorare e potenziare i servizi incrociando i dati. Ad esempio, come molti avranno notato, Facebook si basa anche sui dialoghi di WhatsApp per suggerirci nuovi amici. Può capitare di scorgere fra i contatti potenziali il volto del medico o della babysitter con cui si è appena conclusa una chat sull’app verde. Stesso discorso per la pubblicità: conoscendoci meglio, il social può proporci spot più vicini ai nostri interessi. È lecito? Quali sono, con precisione, le informazioni che le due società si scambiano? Come viene chiesto il consenso? È garantita la revoca nel tempo? (La risposta c’è già: no, solo per 30 giorni). Lo ha chiesto formalmente — con un’istruttoria — il Garante per la privacy a WhatsApp. «Le loro nuove policy pongono serie preoccupazioni dal punto di vista della protezione dei dati personali», ha detto il Garante Antonello Soro. Accodandosi alle perplessità della commissaria europea per la competizione Margrethe Vestager e nel giorno in cui la Germania si è spinta oltre, ordinando il blocco degli scambi di dati dei 35 milioni di tedeschi che usano l’app di messaggistica. Le iniziative si basano sulla convinzione che si debba rispettare la legge sulla privacy del Paese in cui si opera e non di quello comunitario in cui si ha sede. L’Irlanda, nel caso di Facebook. Dal 2018, con il nuovo regolamento Ue, questo aspetto già rinforzato da diverse sentenze sarà ancora più chiaro. Per ora, un portavoce dell’azienda sottolinea il rispetto delle leggi di Bruxelles e la disponibilità a collaborare con il Garante.
Il Garante per la privacy «La nuova politica è preoccupante per la protezione dei dati personali»