Corriere della Sera

«Già malato andava in scena per cantare il Mistero buffo»

Il figlio: beveva intrugli e tirava avanti, di notte ero sempre con lui

- G. Ma.

MILANO «Sono stato con lui tutte le notti. Di giorno si alternavan­o gli amici, ma alla notte Dario voleva me». Gli occhi stanchi, rossi di sonno e di lacrime, la barba incolta, Jacopo Fo si aggira spaesato nella casa del padre e della madre. Stupefatto di ritrovare la scrivania di Dario senza Dario, la poltrona di Franca senza Franca. «Era da luglio che stava male — ricorda —. Si era fatto vedere dal professor Poletti, luminare e amico, che ha confermato la diagnosi di fibrosi polmonare. Impossibil­e da curare, specie a 90 anni. Conoscendo Dario (Jacopo lo chiama sempre per nome, ndr.), con saggezza gli aveva consigliat­o: “Continui come sempre, lavorare per lei è la cura migliore”». Terapia che Fo aveva seguito alla lettera.

«Il 1° agosto ha recitato all’Auditorium di Roma Mistero Buffo davanti a 3000 spettatori. E ha pure cantato. Quando gliel’ho raccontato, il medico ha detto: “Io sono ateo, ma questo è un miracolo”». Per andare avanti Dario le ha tentate tutte, i medicinali di rito, ma anche, «certi intrugli di sua invenzione a base di propoli e zenzero». Qualcosa funziona, visto d’estate che un giorno sì e uno no tiene banco davanti a centinaia di persone, per raccontare la genialità di Darwin, protagonis­ta della sua ultima mostra di quadri.

Poi tutto è precipitat­o, e il primo pensiero di Jacopo è stato di evitargli inutili sofferenze. «Ogni persona ha diritto a una morte buona. Su questo fronte ho trovato una grande sensibilit­à tra medici e infermieri». Gli ultimi mesi per padre e figlio sono stati importanti sia dal punto di vista affettivo sia artistico. «Abbiamo portato a termine la sistemazio­ne dell’archivio nel Museo Laboratori­o di Verona, e da sabato partirà su Rai5 la prima di 25 puntate su vita e arte di Dario e Franca tratte dai documenti video del nostro archivio».

In altre 25 puntate le lezioni sul mestiere dell’attore che la coppia ha tenuto ad Alcatraz, la «libera università» dove opera Jacopo. «Due progetti cardine per i quali voglio ringraziar­e il ministro Franceschi­ni e il direttore di Rai5 D’Alessandro». Avere per padre uno come Dario non è stato facile. «Ho dovuto staccarmi per trovare la mia strada,

ma pur se passati i 60 anni mi sento ancora figlio. Lui per me resta un gigante. Anche di generosità. È stato un uomo ricchissim­o che mi ha dato tantissimo. Spesso incontro persone che non conosco ma che mi abbraccian­o spiegandom­i che Dario li ha aiutati. Non si può essere un grande attore se non si sa dare. Se non si prendono posizioni politiche a favore dei meno fortunati. A costo di farti mettere le bombe in teatro e farti rapire la moglie».

Anche per questo Franca è stata per Dario e per Jacopo così preziosa. «Non ci ha lasciati neanche da morta. È un discorso difficile: noi siamo atei, però anche no...».

Tra i tanti insegnamen­ti del padre, ne cita due. «Uno profession­ale, la prima volta che debuttai a teatro avevo paura ma lui mi rassicurò: “Tranquillo, hai davanti tanti amici. Si sono messi il cappotto per venire a vederti”. L’altro consiglio è squisitame­nte umano: “Segui quello in cui credi davvero. Camperai di più”». Dario ne è stato la prova.

«A luglio la diagnosi di fibrosi polmonare Il dottore gli disse: la terapia è il lavoro»

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Classe 1955 Jacopo Fo, 61 anni, è l’unico figlio di Dario Fo e Franca Rame

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