I cinque italiani sotto choc: nel locale due punti di fuoco
Il caos della notte: «Sembrava una rissa». Il ritorno al lavoro in Turchia, poi forse il rimpatrio
Il dolore Un agente di polizia rende omaggio ai colleghi rimasti uccisi nell’attacco al night club Reina di Istanbul nella notte di Capodanno (Foto Ap /Halit Onur Sandal) DAL NOSTRO INVIATO
«Siamo stanchi», dicono. «E per dimenticare ci vorrà un bel po’ di tempo». Niente lavoro, questa settimana. C’è nella testa e negli occhi ancora quel caos, tutta la morte della notte dell’Ultimo. Una passeggiata sul Bosforo e le telefonate a casa e i post degli amici aiutano, ma non servono: i cinque italiani finiti per caso nel massacro del Reina Club, e per miracolo usciti tutti vivi, in queste ore hanno fatto scorta di parole affettuose e di qualche calmante.
L’unica che s’è fatta medicare dal Sisli Etfal Hospital è una ragazza di Brescia: ha qualche escoriazione e una ferita sopra l’occhio, nulla di grave, rimediate mentre si buttava sotto i tavoli per evitare gli spari. Gli altri sono sotto choc, hanno dormito poco, e stanno programmando di La loro fuga è stata una corsa fra i cadaveri nel sangue. Ora tutti vogliono evitare grane rientrare qualche giorno in Italia: tre a Modena, uno a Palermo, tutti comunque lontano da questo mondo che sapevano difficile e certe volte pericoloso, ma non così. Molte Procure straniere — dalla Tunisia alla Germania — stanno aprendo diversi fascicoli giudiziari di rito sulla strage, ma per il tentato omicidio degl’italiani non accadrà, perché hanno anche poco da riferire: uno di loro sostiene d’aver visto due punti di fuoco nel locale, uno sulla pista e l’altro al primo piano dov’è piazzato il ristorante giapponese, e questo contraddice in parte quel che le inchieste ufficiali stanno appurando. È probabile che la concitazione del momento abbia avuto un peso. «E forse — è l’ipotesi d’una fonte ufficiale a Istanbul — gli italiani hanno solo scambiato per spari il rimbalzo di alcune pallottole».
La loro fuga di mezzanotte è stata una corsa fra i cadaveri, nel sangue, tra gente che si spintonava e si calpestava. Un incubo. Non tutti hanno capito subito che cosa stava succedendo, riferisce chi ha parlato con loro, all’inizio anzi hanno visto solo fumo e agitazione e pensato a una rissa.
Massimiliano e gli altri si defilano, adesso. Finiti in una tragedia troppo più grande, chiedono di tornare alle loro vite di tranquillo lavoro per aziende commerciali italiane, fra Smirne e Istanbul. Qualcuno aveva progettato di prendere la residenza qui, qualcuno ha un contratto a termine: tutti vogliono evitare le grane che possono derivare dalla pubblicazione di nomi e volti. Una cautela più che necessaria, a chi lavora in Turchia di questi tempi.