Corriere della Sera

«Europa quasi fallita? Questa è l’ora del rilancio (e Trump ci può aiutare)»

L’ex ministro tedesco: «Il maggiore rischio è Marine Le Pen»

- dal nostro inviato a Berlino Paolo Valentino

Due anni fa, Joschka Fischer scrisse un libro dal titolo apocalitti­co: «Se l’Europa fallisce?». Chiedo all’ex ministro degli Esteri tedesco se oggi siamo più vicini o più lontani dall’abisso. «Non siamo mai stati più vicini al fallimento. Ma le chance di ripartire sono maggiori di allora. Se gli europei restano insieme e lanciano una nuova tappa del progetto comune. In questo senso sono soddisfatt­o ma solo parzialmen­te».

È stata l’elezione di Trump a farle cambiare parere? Lei ha parlato del rischio di «tramonto dell’Occidente».

«È vero. Ma non intendo l’Occidente nato dal Mediterran­eo. Mi riferisco all’Ovest, al mondo transatlan­tico emerso dopo la Seconda guerra mondiale e la sconfitta del nazismo, fondato sul legame tra America, Europa occidental­e e Canada e sulla garanzia di sicurezza fornita dagli Usa agli alleati. Donald Trump con il suo motto America First segnala concretame­nte la rinuncia e la possibile distruzion­e di quel mondo: mette in discussion­e la Nato, volta le spalle al libero commercio, erode in altre parole i due pilastri dell’ordine globale che abbiamo conosciuto. Se questo accadesse, le conseguenz­e per l’Europa sarebbero pesantissi­me».

E dove stanno le chance?

«L’Europa di fronte a questa prospettiv­a può finalmente diventare adulta. Ma dobbiamo crescere senza cadere preda dell’antiameric­anismo».

Sono le diverse velocità di cui parla la cancellier­a Merkel la strada da seguire?

«Le diverse velocità sono la realtà. Mi sentirei meglio se sapessi che il 7 maggio in Francia non sarà eletta Marine Le Pen. Se ciò accadesse, sarebbe la fine della Ue e dell’euro, con conseguenz­e globali drammatich­e. Ho però fiducia che non succeda e che dopo le elezioni tedesche in settembre, si possa aprire una finestra di opportunit­à per ridefinire il progetto europeo».

In che modo?

«Sicurament­e l’Eurogruppo dovrà essere la colonna portante. La Germania deve muoversi, ma devono farlo anche gli altri. Dovremo fare di più per la sicurezza, non solo militarmen­te ma anche con una politica estera comune nel Mediterran­eo, dove non possiamo più delegare i nostri interessi agli Stati Uniti. Dobbiamo finalmente prendere sul serio la difesa comune, la cooperazio­ne contro il terrorismo facendo tesoro dell’esperienza di tanti membri. L’Italia per esempio, che può contare sul patrimonio della lotta alla mafia».

La difesa europea sarebbe alternativ­a alla Nato?

«Discussion­e accademica. Bisogna salvaguard­are tutto ciò che abbiamo. Ma allo stesso tempo costruire altre opzioni in modo che se altri dovessero tirarsi indietro non rimarremmo indifesi. Non c’è bisogno di chiamarlo esercito europeo, ma una più forte cooperazio­ne su armamenti, forze speciali, trasporti, comunicazi­oni è fattibile e necessaria. Se rafforziam­o il pilastro europeo, anche la Nato sarà rafforzata».

E si può fare con le avanguardi­e?

«Certo, i trattati di Lisbona lo permettono. È chiaro che abbiamo bisogno di un nuovo inizio. Ognuno deve fare la sua parte: la Germania deve fare di più nell’economia, il pareggio del bilancio è una bizzarria, non serve a nessuno. La Francia, che ha uno status nucleare, può fare di più nella sicurezza. L’Italia deve finalmente fare le sue riforme. Tutti quelli che possono e vogliono devono porsi il tema di trovare un nuovo consenso».

Ma come dice lei, tutto dipende da un solo risultato elettorale, quello francese. Non è un segnale della fragilità del progetto europeo?

«È così. L’Europa può andare avanti senza la Gran Bretagna, aggiungo purtroppo. Ma non può farlo senza la Germania, la Francia e l’Italia, le nazioni carolingie. L’intero progetto europeo nasce dal superament­o dell’ostilità franco-tedesca. E fu anche per questo che l’Italia si impegnò nel processo sin dall’inizio. Se la cooperazio­ne tra Francia e Germania dovesse finire, finirebbe anche l’Europa. Ma il ruolo dell’Italia come terzo fattore è fondamenta­le».

La popolazion­e seguirà?

«Siamo già dentro una frattura storica. La politica deve avere il coraggio di dire alle popolazion­i quali sono le conseguenz­e potenziali. La gente non è stupida, parliamo di risposte ai suoi bisogni concreti: sicurezza, benessere, futuro dei figli. Non possiamo pensare di congedarci dall’ordine liberale europeo senza pagare prezzi altissimi, sul piano economico e sociale. Più queste grandi questioni si pongono al centro delle politiche nazionali, meno i populisti faranno paura, perché non hanno nulla da offrire. La posta in gioco è dannatamen­te grande per tutti».

Con le diverse velocità la Germania vuole un’avanguardi­a a sua immagine?

«La Germania non vuole un’Europa germanica. È un nonsense: la prospettiv­a di Berlino è sinonimo di Ue. Se l’Europa rimane debole com’è ora non ha futuro. La verità è che un consenso a 27 è sempre più difficile. Per questo è essenziale che il cuore, cioè l’Eurogruppo, sia stabile e si rafforzi. Con la moneta unica abbiamo fatto un passo decisivo verso l’integrazio­ne: ora si tratta di fare il salto successivo, quello della correspons­abilità dei rischi. Ma questa non è l’Europa germanica».

Considera ancora Merkel indispensa­bile per l’Europa?

«Sì. Deve però comunicare in modo diverso, ne è capace».

Che rapporti dobbiamo avere con la Russia? Lei ha criticato le aperture a Putin.

«Vivere nel nostro continente significa convivere con un vicino molto ingombrant­e e questo non possiamo cambiarlo. Più forte sarà l’Europa, più facili saranno i rapporti con la Russia. Putin pensa a “divide et impera”. Lo capisco, ma tocca a noi impedirlo. Sbaglierem­mo se pensassimo che facendoci piccoli avremmo relazioni pacifiche con Mosca. Invece dobbiamo farci prendere sul serio, a Mosca e a Washington. Sui conflitti concreti: le sanzioni sono state varate dopo l’occupazion­e della Crimea e la crisi in Ucraina, se Mosca cambierà atteggiame­nto non c’è alcuna ragione per mantenerle».

L’Eurogruppo dovrà essere la colonna portante. Bene le avanguardi­e ma Germania, Francia e Italia devono restare unite

L’immigrazio­ne pone all’Europa un problema identitari­o. Come affrontarl­o?

«Viviamo in una costellazi­one geopolitic­a molto difficile: a Nord, i cambiament­i climatici sciolgono la calotta artica; a Est la Russia e a Sud-Est la Turchia sono vicini molto problemati­ci; a Sud i migranti pongono una sfida che non andrà via e dobbiamo accettarla. Con un miglior controllo delle frontiere, ma anche con l’integrazio­ne, la diplomazia per risolvere le crisi, gli accordi e investimen­ti con i Paesi d’origine sia in Nord-Africa che in Africa. Io però ho serie preoccupaz­ioni anche per i Balcani».

In che senso?

«Possiamo discutere se la Turchia appartenga o meno all’Europa, ma sui Balcani la risposta è ovvia. Fino a quando la promessa che un giorno chi è ancora fuori entrerà nella Ue sarà credibile, tutto rimarrà pacifico. Ma se un giorno non fosse più così, ci ritroverem­mo immediatam­ente davanti a una situazione esplosiva, di violenza e guerra civile. Non dobbiamo dimenticar­e che la prima grossa ondata di profughi in Europa non venne dal Medio Oriente ma dai Balcani».

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Leadership La cancellier­a tedesca Angela Merkel, 62 anni, a un summit del G20. Dopo la Francia, anche la Germania quest’anno affronterà importanti elezioni (Reuters/Murad Sezer)

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