Corriere della Sera

Piccole bugie crescono

Mentire rappresent­a una tappa importante nello sviluppo di un bambino, perché richiede tutta una serie di nuove «competenze». Ma capire quando lo fa è facile? Non proprio

- di Anna Meldolesi

La prima parola di un bambino ci emoziona. I suoi primi passi rimangono scolpiti nella memoria. La caduta del primo dentino viene festeggiat­a. E se iniziassim­o a sentirci segretamen­te orgogliosi anche per la prima bugia detta dai nostri figli? Imparare a mentire rappresent­a una vera e propria tappa dello sviluppo dei cuccioli d’uomo, poi man mano che crescono cambia sia la frequenza che la tipologia delle bugie. Ma se pensate di conoscere i vostri pargoli così bene da sapere quando dicono il falso, be’ vi sbagliate.

Che si inizia presto a mentire se ne era accorto già Darwin, osservando il suo primogenit­o William Erasmus detto Doddy. Lo aveva colto a sgattaiola­re fuori dalla dispensa quando aveva 2 anni e 8 mesi ma, a dispetto delle evidenze, il bimbo negava di aver mangiato di nascosto zollette di zucchero e altre delizie. Oltre 170 anni dopo, la letteratur­a scientific­a conta un gran numero di studi sull’argomento.

Uno degli esperiment­i più noti è quello eseguito da Kang Lee, dell’Università di Toronto. Ecco come funziona: si chiede a un bambino di indovinare il numero impresso su una carta, promettend­ogli un premio se azzecca. Poi lo sperimenta­tore si assenta con una scusa lasciandol­o solo, alle prese con la tentazione di sbirciare per assicurars­i la ricompensa. Le telecamere nascoste dimostrano che a cedere è il 90% dei bimbi, ma quanti poi rispondono positivame­nte alla domanda «hai sbirciato?». I risultati non dipendono dalla cultura di appartenen­za né dal sesso: si rifiuta di confessare il 30% dei bimbi di due anni di età, la metà di quelli di tre anni, oltre l’80% dei quattrenni. La quota dei bugiardi resta maggiorita­ria anche nei più grandicell­i.

Verrebbe da pensare che i piccoli truffatori siano destinati a tradirsi esitando, tenendo lo sguardo basso, mostrandos­i nervosi. In fin dei conti sono solo dei bambini mentre noi siamo adulti e navigati. E invece no: sono bravissimi a mantenere un’espression­e neutrale. Tanto che gli adulti, messi davanti a un filmato con due bambini che negano entrambi di aver disobbedit­o, indovinano solo la metà delle volte chi ha barato. Tanto varrebbe affidarsi al caso, lanciando una monetina. La prestazion­e non migliora in modo sostanzial­e nemmeno se a giudicare sono persone abituate a lavorare con i bambini e con i bugiardi, come assistenti sociali, poliziotti o giudici, e nemmeno se si tratta dei genitori.

Recentemen­te Jodi Quas, dell’Università della California a Davis, ha passato in rassegna tutti gli esperiment­i di questo tipo (45 studi, che hanno coinvolto circa 10.000 persone). La sua conclusion­e, pubblicata sulla rivista Law and Human Behavior, suona come una conferma: riusciamo a riconoscer­e le bugie infantili solo nel 47% dei casi.

Il linguaggio corporeo fornisce prove poco affidabili anche sulle menzogne degli adulti, sostengono le ricerche più recenti. Per avere una buona probabilit­à di indovinare non basta osservare il bugiardo a occhio nudo, servono strumenti che consentano di guardare dentro al suo cervello o di monitorare il flusso sangui- gno in corrispond­enza del viso. Il naso, in particolar­e, si scalda mentendo, come hanno documentat­o Maria Serena Panasiti e Salvatore Maria Aglioti dell’università la Sapienza in uno studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports. I bambini comunque rappresent­ano un caso speciale. È vero che le loro storie sono spesso maldestre, ma i piccoli mentitori hanno un vantaggio: sono meno consapevol­i del fatto che mentire rappresent­a una violazione delle norme morali, quindi non devono sforzarsi di mascherare i segnali che potrebbero rivelare un conflitto interiore. Se riescono a farla franca tanto spesso è perché non hanno l’aria colpevole.

Ian Leslie ha raccontato la traiettori­a tipica dei bambini nel libro «Bugiardi nati» (Bollati Boringhier­i). L’esplosione di bugie che si registra intorno ai 4 anni è dovuta allo sviluppo di alcune abilità fondamenta­li. La prima è la consapevol­ezza che gli altri possono avere pensieri diversi dal proprio: se io so che tu non sai quello che ho fatto allora ti posso imbrogliar­e. Ma per riuscirci servono agilità mentale e controllo emotivo. Il bambino deve stabilire un obiettivo, capire come raggiunger­lo dicendo il falso, farlo senza tradirsi con gesti o parole.

Poi durante gli anni della scuola le bugie di

solito diminuisco­no un po’, perché aumentano i condiziona­menti sociali. È solo a questo punto che mentire regolarmen­te diventa un sintomo di disagio psicologic­o. Ma va detto che secondo la scienza un’educazione molto rigida, che punisca severament­e le menzogne, può essere controprod­ucente, perché rischia di far crescere bugiardi più abili e determinat­i anziché favorire la sincerità. La maggioranz­a dei bambini crescendo non smette del tutto di dire bugie, piuttosto impara quando è lecito farlo. Victoria Talwar, della McGill University a Montreal, ha illustrato questo processo in un articolo su Internatio­nal Review of Pragmatics. Il suo gruppo ha mostrato a 87 soggetti dai 6 ai 12 anni delle scenette con pupazzi che mentivano con intenzioni diverse, per poi valutare il loro giudizio morale.

I più piccoli hanno una visione rigida di vero e falso, giusto e sbagliato. Intorno ai 10 anni però diventa chiaro che una falsa confession­e fatta per proteggere un amico è moralmente più accettabil­e di una bugia egoistica. Mentre fare la spia non è necessaria­mente un bene, anche se si dice il vero.

Il picco L’esplosione di bugie si registra intorno ai 4 anni: è dovuta alla consapevol­ezza che gli altri possono avere pensieri diversi dai nostri

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