Il salotto? È una messa in scena
In mostra a Milano le fotografie di Maria Vittoria Backhaus: interni pop con ironia
on la stessa cura espressa nel restaurare e modellare le case che abita (a Filicudi, nelle Eolie, o a Rocchetta Tanaro, in Monferrato), Maria Vittoria Backhaus ha architettato, e continua ad architettare, dettaglio per dettaglio, i suoi set fotografici. Ogni cosa è fatta ad hoc, spesso miniaturizzata: dai mattoncini delle architetture alle figure umane. «Per i grandi spazi, destinati ai mobili di design, mi piace realizzare anche il décor. Per le microscenografie trovo componenti e accessori dai fabbricanti di modellismo, o in internet. Monto tutto e poi introduco gli oggetti da fotografare. Mi piace occuparmi di arredamento perché è difficile», spiega. Lo scopo di tali mise-en-scène? Raccontare storie, sempre diverse, ironiche, ricche di annotazioni scaturite dalla contemporaneità. Come si trattasse di Pop Art applicata all’obbiettivo.
Ora l’artista, dopo le tante foto di interior e fashion ricche di glamour (occhieggiando David Hockney, con omaggi a Surrealismo e Iperrealismo, o al cinema di Tati), e i molti scatti d’arte, ispirati alla natura dei suoi mari e dei suoi giardini, sta tornando agli antichi amori. Ovvero alle microinstallazioni che negli anni 80 iniziò a ideare per Casa Vogue, Uomo Vogue e altre testate Condé Nast, con la complicità di Isa Vercelloni, Cristina Brigidini, Carla Sozzani, che le dirigevano. Dunque una fotografa dai mille volti che ora esordisce con una personale a Milano, presso la galleria Still: 30 opere vintage, dagli anni 60 ai 2000. A testimoniare storia e cultura di un’epoca speciale, generate dalla compresenza a Milano di personalità che hanno lasciato il segno e dal verificarsi di avvenimenti destinati a cambiare stili di vita di intere generazioni.
Tutto nacque nei primi anni ’60, quando Maria Vittoria, studentessa di scenografia a Brera, con forti interessi per il sociale, si faceva prestare al Bar Giamaica la macchina fotografica da Ugo Mulas o Alfa Castaldi. Nel ’68 era a Parigi a lavorare, in piena contestazione giovanile, alla Sorbona; in seguito in Sicilia e in Sardegna Immagini analogiche A sinistra «Vaso rotto», Milano 2008; a destra «Ritratto di divano», 1993; Nella foto grande «Villa Ronchi», Vigevano, 2006; sotto, autoritratto con Guido Vergani a realizzare reportage. Negli anni 70, da un lato ecco le inchieste dedicate alle realtà industriali del Bel Paese, dall’altro l’amicizia con designer e stilisti geniali, come Walter Albini.
Poi, via via, fino ai tempi recenti, le collaborazioni con numerose riviste: Amica, Case da Abitare, Elle, Io Donna, Wall Paper e grandi brand, come Negli anni 60 studiava a Brera e si faceva prestare l’obiettivo da Ugo Mulas e Alfa Castaldi
Flexform.
I fotografi preferiti? «Quelli che danno voce ai viaggi della mente: Guy Bourdin, Jurghen Teller, Tim Walker. E, soprattutto, David LaChapelle. Anche lui ora lavora con i modellini. Fa sul serio. Il suo tecnico firmò i set cinematografici per “Titanic”… in Italia sarebbe impossibile».