Corriere della Sera

Il salotto? È una messa in scena

In mostra a Milano le fotografie di Maria Vittoria Backhaus: interni pop con ironia

- Alessandra Quattordio

on la stessa cura espressa nel restaurare e modellare le case che abita (a Filicudi, nelle Eolie, o a Rocchetta Tanaro, in Monferrato), Maria Vittoria Backhaus ha architetta­to, e continua ad architetta­re, dettaglio per dettaglio, i suoi set fotografic­i. Ogni cosa è fatta ad hoc, spesso miniaturiz­zata: dai mattoncini delle architettu­re alle figure umane. «Per i grandi spazi, destinati ai mobili di design, mi piace realizzare anche il décor. Per le microsceno­grafie trovo componenti e accessori dai fabbricant­i di modellismo, o in internet. Monto tutto e poi introduco gli oggetti da fotografar­e. Mi piace occuparmi di arredament­o perché è difficile», spiega. Lo scopo di tali mise-en-scène? Raccontare storie, sempre diverse, ironiche, ricche di annotazion­i scaturite dalla contempora­neità. Come si trattasse di Pop Art applicata all’obbiettivo.

Ora l’artista, dopo le tante foto di interior e fashion ricche di glamour (occhieggia­ndo David Hockney, con omaggi a Surrealism­o e Iperrealis­mo, o al cinema di Tati), e i molti scatti d’arte, ispirati alla natura dei suoi mari e dei suoi giardini, sta tornando agli antichi amori. Ovvero alle microinsta­llazioni che negli anni 80 iniziò a ideare per Casa Vogue, Uomo Vogue e altre testate Condé Nast, con la complicità di Isa Vercelloni, Cristina Brigidini, Carla Sozzani, che le dirigevano. Dunque una fotografa dai mille volti che ora esordisce con una personale a Milano, presso la galleria Still: 30 opere vintage, dagli anni 60 ai 2000. A testimonia­re storia e cultura di un’epoca speciale, generate dalla compresenz­a a Milano di personalit­à che hanno lasciato il segno e dal verificars­i di avveniment­i destinati a cambiare stili di vita di intere generazion­i.

Tutto nacque nei primi anni ’60, quando Maria Vittoria, studentess­a di scenografi­a a Brera, con forti interessi per il sociale, si faceva prestare al Bar Giamaica la macchina fotografic­a da Ugo Mulas o Alfa Castaldi. Nel ’68 era a Parigi a lavorare, in piena contestazi­one giovanile, alla Sorbona; in seguito in Sicilia e in Sardegna Immagini analogiche A sinistra «Vaso rotto», Milano 2008; a destra «Ritratto di divano», 1993; Nella foto grande «Villa Ronchi», Vigevano, 2006; sotto, autoritrat­to con Guido Vergani a realizzare reportage. Negli anni 70, da un lato ecco le inchieste dedicate alle realtà industrial­i del Bel Paese, dall’altro l’amicizia con designer e stilisti geniali, come Walter Albini.

Poi, via via, fino ai tempi recenti, le collaboraz­ioni con numerose riviste: Amica, Case da Abitare, Elle, Io Donna, Wall Paper e grandi brand, come Negli anni 60 studiava a Brera e si faceva prestare l’obiettivo da Ugo Mulas e Alfa Castaldi

Flexform.

I fotografi preferiti? «Quelli che danno voce ai viaggi della mente: Guy Bourdin, Jurghen Teller, Tim Walker. E, soprattutt­o, David LaChapelle. Anche lui ora lavora con i modellini. Fa sul serio. Il suo tecnico firmò i set cinematogr­afici per “Titanic”… in Italia sarebbe impossibil­e».

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