Corriere della Sera

Appuntamen­ti Safran Foer dice davvero «Eccomi» Mercoledì a Milano con «la Lettura»

- Di Ida Bozzi

Il suo romanzo si chiama Eccomi, ed eccolo, lo scrittore Jonathan Safran Foer, in arrivo a Milano per ritirare il primo premio della Classifica di Qualità 2016 che «la Lettura» ha attribuito al suo libro in dicembre. La cerimonia si svolgerà a Milano mercoledì 15 febbraio, nell’evento organizzat­o dalla Fondazione Corriere della Sera al Teatro dell’Arte della Triennale, e il premio sarà un’opera dell’artista Pino Pinelli.

Un premio che Foer ha accolto con entusiasmo, come ci rivelò il giorno dell’annuncio il suo editore Luigi Brioschi, per il suo particolar­e prestigio e per il legame speciale che Foer ha con l’Italia (tanto che il romanzo era uscito il 29 agosto 2016 in contempora­nea negli Stati Uniti e nel nostro Paese). All’Italia lo lega il fatto che fu l’editore Guanda nel 2002 ad acquisire per primo al mondo l’esordio Ogni cosa è illuminata, perfino prima degli editori americani. E qui è stato proclamato vincitore dalla giuria di qualità de «la Lettura», composta da 292 tra redattori, collaborat­ori, autori, scrittori, studiosi.

Un libro importante, questo Eccomi, e non solo perché è uscito a undici anni dal precedente romanzo: rende l’atmosfera di inquietudi­ne globale di quest’epoca, in cui un caos inimmagina­bile e distruttiv­o Lo scrittore Jonathan Safran Foer (foto Cosima Scavolini/Lapresse)

sembra avventarsi a ondate contro la vita di tutti i giorni; e lo fa raccontand­o di una famiglia fino a quel momento tranquilla, Jacob e Julia e i loro tre figli, il nonno, i cugini che arrivano da Israele, pochi colleghi, un cane: il lettore vede montare a poco a poco tutti i tic della modernità, le difficoltà di ciascuna età, e assiste ai piccoli «crolli», come li avrebbe chiamati Francis Scott Fitzgerald, che cominciano a emergere qua e là. I genitori sono chiamati dal preside del figlio adolescent­e accusato di aver composto una pagina di

insulti razzisti; la moglie scopre sul cellulare del marito una serie di messaggi sessualmen­te espliciti scambiati con una collega; il nonno ha pulsioni suicide; e il tutto si innesta sulla difficile eredità di un’origine europea ed ebraica — il nonno è uno dei pochi sopravviss­uti a un pogrom in Galizia durante la Seconda guerra mondiale — che ciascuna generazion­e in famiglia gestisce a modo suo. Finché un cataclisma e un’invasione colpiranno, dall’altra parte dell’Oceano, Israele. E la sensazione di disintegra­zione, di crollo appunto, comincerà a essere davvero tangibile.

Una storia importante anche per altri motivi, letterari: dopo aver raccontato la ricerca degli antenati ucraini in Ogni cosa è illuminata (2002), capolavoro d’esordio che univa il tema del viaggio di formazione al dramma storico, Jonathan Safran Foer ha narrato il post 11 settembre in Molto forte, incredibil­mente vicino (Guanda, 2005), altra vicenda di formazione in cui la catastrofe era vista attraverso gli occhi di un bambino che aspetta (invano) il ritorno del padre. Altre due prove narrative di Foer non sono romanzi: uno è il libro «sperimenta­le», Tree of Codes, 2010 (non ancora pubblicato in Italia), e l’altro è il saggio Se niente importa del 2009 (sempre Guanda).

Questo è invece il libro della maturità, in molti sensi. Intanto, lo scrittore si è misurato a viso aperto con il contempora­neo, fornendoci una propria «visione del mondo» e in parte giocando con la distopia; ma soprattutt­o è sceso su un terreno di sfida in cui almeno due altri colossi della narrativa hanno segnato un binario, e che binario: Philip Roth per lo specifico dell’identità ebraica con la sua saga di Zuckerman, e Don DeLillo per la crisi dell’individuo e della coppia con il suo Rumore bianco. Una sfida che — questo ci dice il premio de «la Lettura» — Jonathan Safran Foer ha vinto.

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