Corriere della Sera

VITA DI OLIVETTI UTOPISTA PRAGMATICO

- Di Carlo Vulpio

urbanistic­a e la cultura. Dovunque queste due parole si rivelino parole chiave, anche nella politica, là c’è Adriano Olivetti. Uomo di pensiero e di azione, Olivetti era, apparentem­ente, un ossimoro vivente per quel suo voler essere un grande imprendito­re e un vero rivoluzion­ario, un dichiarato utopista e un serio pragmatico. Ma, appunto, queste contraddiz­ioni in lui erano solo apparenti. Perché non c’è mai stato un tema, un argomento, un’iniziativa economica, editoriale o politica, un periodo o un episodio della sua vita, anche quella privata, in cui Adriano Olivetti non abbia impegnato tutto se stesso per raggiunger­e i traguardi che aveva in mente, non soltanto per sé e per l’azienda di famiglia avviata nel 1908 dal padre Camillo, ingegnere e geniale inventore, ma anche per gli altri, per tutti gli altri, cioè per il prossimo, da intendersi proprio in senso evangelico. Perché alla fine Adriano Olivetti, di papà ebreo e madre di religione valdese, questo era, un socialista non marxista, un proudhonia­no, e un cristiano del Concilio Vaticano II già prima del Concilio stesso. E questo era riuscito a essere nella sua vita: la sintesi di un socialismo umanitario e democratic­o e di un cristianes­imo vivo e mai dogmatico.

Olivetti ha anticipato i tempi, per esempio nelle relazioni industrial­i, innalzando il livello di vita dei dipendenti delle sue aziende prima ancora che arrivasser­o le rivendicaz­ioni sindacali, convinto della funzione sociale dell’impresa, che non poteva illudersi di prosperare sui soli profitti se contempora­neamente non si prefiggess­e di far crescere l’uomo, attraverso l’istruzione, la cultura, la formazione profession­ale continua e l’educazione al bello e all’equilibrio tra la natura e l’intervento umano. Un obiettivo che gli riuscì di realizzare nel suo Canavese e che con lo stesso ottimismo e la stessa tenacia tentò di replicare in altre aree d’Italia. Nel Centro e soprattutt­o al Sud, dove ebbe particolar­mente a cuore le aree sottosvilu­ppate, come la Basilicata e Matera, con i Sassi, il meraviglio­so ma degradato insediamen­to trogloditi­co, e con le campagne tutt’intorno, latifondi nei quali le idee e la pratica di Adriano Olivetti e dei suoi collaborat­ori — una schiera di tecnici e intellettu­ali di cui ci limitiamo a citare Franco Ferrarotti, Friedrich Friedmann, Ludovico Quaroni, Rocco Mazzarone, Albino e Leonardo Sacco — anticiparo­no e superarono le realizzazi­oni della Riforma agraria degli anni Cinquanta, pur tra opposizion­i e sabotaggi di ogni tipo, da parte dei democristi­ani al governo e dei comunisti all’opposizion­e.

Le Edizioni di Comunità di recente hanno ristampato per la quinta volta (e già questo ha un significat­o) Adriano Olivetti. La biografia di Valerio Ochetto (pagine 295, 12), eccellente e minuziosa storia pubblica e privata di Adriano, che morì non ancora sessantenn­e il 27 febbraio 1960, per una trombosi cerebrale che lo colpì mentre era in viaggio sul direttissi­mo Milano-Losanna. Adriano è stato «il ragazzo di Ivrea» che fece grande l’Italia persino negli Stati Uniti del capitalism­o avanzato ma è stato anche uno di quegli uomini che tutte le epoche vorrebbero avere e che sarebbero necessari specialmen­te in tempi «cyber» e «panfinanzi­ari» come i nostri. Fu la prevalenza del fattore umano, infatti, a consentire ad Adriano Olivetti di sfidare, e vincere, l’incredulit­à e spesso anche le ironie di quelli che di fronte alle sue «visioni» e alla sua capacità di saper guardare le cose con cinquant’anni d’anticipo, opponevano la «saggezza» di chi sta con i piedi per terra. Salvo poi riscoprirs­i rinchiusi nel proprio angusto recinto e magari finire sotto quella stessa terra che doveva sorreggerl­i. Adriano Olivetti

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