E la Bella addormentata si risvegliò con l’arte
Bologna è il capoluogo di regione e laboratorio politico. Parma il cuore dell’alimentare e Cesena dell’ortofrutta e del wellness. Modena e Reggio i polmoni meccanici della manifattura. Rimini e Ravenna il turismo per antonomasia. Forlì potrà sembrare una Cenerentola, ma assomiglia di più a una Bella addormentata. E che, finalmente, è riuscita a svegliarsi puntando su quello che tutti chiamano il petrolio d’Italia: l’arte (nella foto, piazza Saffi). Bisogna andare un po’ indietro per trovare le ragioni di questo suo successo. Fino al 1993, quando il Comune cambiò idea sulla destinazione d’uso del Complesso di San Domenico. Una sterzata più che repentina che, a distanza di tempo, mostra oggi tutta la sua efficacia e la giustezza di un’intuizione civica, più che amministrativa: portare a nuova vita un immobile in stato di degrado e farne il trampolino di rilancio di una città in ottica però culturale. In principio la chiesa, in parte crollata nel 1978, e il convento sarebbero dovuti finire sotto una gabbia di cemento e vetro a uso teatrale. Il progetto fu poi accantonato e l’immobile divenne quello che i visitatori delle molte mostre hanno imparato a conoscere: un polo culturale e museale, sede anche della Pinacoteca. L’ipotesi poteva sembrare peregrina, ma si sa che le arti hanno tempi di gestazione molto lunghi. Ne è valsa la pena, tanto che si è scomodato a lodare la vivacità del complesso lo stesso ex presidente di Confindustria Giorgio Squinzi. Oggi, se capitate in un weekend al San Domenico armatevi di pazienza, perché le file per visitare le sue mostre sono molto lunghe: dalla prima nel 2005 dedicata a Marco Palmezzano, passando per i macchiaioli, il Liberty, Canova, Piero della Francesca, fino alle recenti incursioni nella fotografia con Salgado e Steve McCurry, il San Domenico ha reso Forlì una delle mete imprescindibili per gli amanti dell’arte.