Corriere della Sera

E la Bella addormenta­ta si risvegliò con l’arte

- Di Andrea Rinaldi

Bologna è il capoluogo di regione e laboratori­o politico. Parma il cuore dell’alimentare e Cesena dell’ortofrutta e del wellness. Modena e Reggio i polmoni meccanici della manifattur­a. Rimini e Ravenna il turismo per antonomasi­a. Forlì potrà sembrare una Cenerentol­a, ma assomiglia di più a una Bella addormenta­ta. E che, finalmente, è riuscita a svegliarsi puntando su quello che tutti chiamano il petrolio d’Italia: l’arte (nella foto, piazza Saffi). Bisogna andare un po’ indietro per trovare le ragioni di questo suo successo. Fino al 1993, quando il Comune cambiò idea sulla destinazio­ne d’uso del Complesso di San Domenico. Una sterzata più che repentina che, a distanza di tempo, mostra oggi tutta la sua efficacia e la giustezza di un’intuizione civica, più che amministra­tiva: portare a nuova vita un immobile in stato di degrado e farne il trampolino di rilancio di una città in ottica però culturale. In principio la chiesa, in parte crollata nel 1978, e il convento sarebbero dovuti finire sotto una gabbia di cemento e vetro a uso teatrale. Il progetto fu poi accantonat­o e l’immobile divenne quello che i visitatori delle molte mostre hanno imparato a conoscere: un polo culturale e museale, sede anche della Pinacoteca. L’ipotesi poteva sembrare peregrina, ma si sa che le arti hanno tempi di gestazione molto lunghi. Ne è valsa la pena, tanto che si è scomodato a lodare la vivacità del complesso lo stesso ex presidente di Confindust­ria Giorgio Squinzi. Oggi, se capitate in un weekend al San Domenico armatevi di pazienza, perché le file per visitare le sue mostre sono molto lunghe: dalla prima nel 2005 dedicata a Marco Palmezzano, passando per i macchiaiol­i, il Liberty, Canova, Piero della Francesca, fino alle recenti incursioni nella fotografia con Salgado e Steve McCurry, il San Domenico ha reso Forlì una delle mete imprescind­ibili per gli amanti dell’arte.

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