MEDICI CHE LASCIANO GLI OSPEDALI PUBBLICI
La stampa ha riportato qualche tempo fa l’abbandono di alcuni importanti medici del Policlinico di Milano, molto efficienti e ancora lontani dal pensionamento. Non capita soltanto a Milano: quando avvengono queste fughe le ragioni, il più delle volte, non sono di natura economica, ma legate a delusione, a mancata gratificazione della professionalità , al senso di abbandono e silenzi delle amministrazioni. Per un medico che per anni ha investito nella struttura pubblica l’essere ignorato dai vertici, il fare costantemente anticamera, il non vedere accolte proposte di ricerca, di progetti di studio, di riorganizzazione del lavoro, di innovazione, di sviluppo assistenziale, sono tutti motivo di frustrazione e il cercare soddisfazioni altrove diventa quasi inevitabile.
A fronte di un’assistenza pubblica iperburocratizzata, ossessiva sui budget, che vuole relazioni su relazioni, raggiungimento di obiettivi amministrativo-economici, poco attenta a chi fa bene il medico, il privato rappresenta una sirena appetibile.
Un privato che diventa sempre più “colosso”, tecnologicamente fornito, rapido nelle decisioni, pronto ad innovarsi, ad accettare proposte e idee nuove per stare al passo coi tempi, diventando magari anche sede universitaria. Un privato con amministrazioni efficienti, pronte a dare risposte all’interno e all’esterno, informatizzato al meglio, che investe, che stima i propri collaboratori, che esige, ma che sburocratizza al massimo i compiti dei dipendenti. Un privato così attira le menti e i professionisti migliori, formatisi nel pubblico dove hanno acquisito fama, competenza e professionalità, ma che non ha saputo trattenerli e premiarli, considerati unicamente macchine da lavoro.
Anche se nelle nuove istituzioni in cui andranno non è tutto oro quello che luccica, si ritroveranno in una nuova sfida.
Certamente il pubblico ha grosse difficoltà economiche e organizzative, ma sarebbero bastate porte aperte, tavoli di lavoro comuni, richieste di pareri per condividere obiettivi, minori imposizioni, maggiori spiegazioni degli eventi, segnali di attenzione alle proposte, a mantenere vivi, pur in presenza di risorse limitate, gli ideali che hanno indotto a scegliere di lavorare negli ospedali. Il restarci a denti stretti, avrebbe prevalso.
Chi dirige le aziende ospedaliere deve riflettere su tutto ciò e operare di conseguenza per evitare l’abbandono dei più capaci. La sanità pubblica ha bisogno di loro.