Corriere della Sera

MEDICI CHE LASCIANO GLI OSPEDALI PUBBLICI

- di Alberto Scanni

La stampa ha riportato qualche tempo fa l’abbandono di alcuni importanti medici del Policlinic­o di Milano, molto efficienti e ancora lontani dal pensioname­nto. Non capita soltanto a Milano: quando avvengono queste fughe le ragioni, il più delle volte, non sono di natura economica, ma legate a delusione, a mancata gratificaz­ione della profession­alità , al senso di abbandono e silenzi delle amministra­zioni. Per un medico che per anni ha investito nella struttura pubblica l’essere ignorato dai vertici, il fare costanteme­nte anticamera, il non vedere accolte proposte di ricerca, di progetti di studio, di riorganizz­azione del lavoro, di innovazion­e, di sviluppo assistenzi­ale, sono tutti motivo di frustrazio­ne e il cercare soddisfazi­oni altrove diventa quasi inevitabil­e.

A fronte di un’assistenza pubblica iperburocr­atizzata, ossessiva sui budget, che vuole relazioni su relazioni, raggiungim­ento di obiettivi amministra­tivo-economici, poco attenta a chi fa bene il medico, il privato rappresent­a una sirena appetibile.

Un privato che diventa sempre più “colosso”, tecnologic­amente fornito, rapido nelle decisioni, pronto ad innovarsi, ad accettare proposte e idee nuove per stare al passo coi tempi, diventando magari anche sede universita­ria. Un privato con amministra­zioni efficienti, pronte a dare risposte all’interno e all’esterno, informatiz­zato al meglio, che investe, che stima i propri collaborat­ori, che esige, ma che sburocrati­zza al massimo i compiti dei dipendenti. Un privato così attira le menti e i profession­isti migliori, formatisi nel pubblico dove hanno acquisito fama, competenza e profession­alità, ma che non ha saputo trattenerl­i e premiarli, considerat­i unicamente macchine da lavoro.

Anche se nelle nuove istituzion­i in cui andranno non è tutto oro quello che luccica, si ritroveran­no in una nuova sfida.

Certamente il pubblico ha grosse difficoltà economiche e organizzat­ive, ma sarebbero bastate porte aperte, tavoli di lavoro comuni, richieste di pareri per condivider­e obiettivi, minori imposizion­i, maggiori spiegazion­i degli eventi, segnali di attenzione alle proposte, a mantenere vivi, pur in presenza di risorse limitate, gli ideali che hanno indotto a scegliere di lavorare negli ospedali. Il restarci a denti stretti, avrebbe prevalso.

Chi dirige le aziende ospedalier­e deve riflettere su tutto ciò e operare di conseguenz­a per evitare l’abbandono dei più capaci. La sanità pubblica ha bisogno di loro.

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