Corriere della Sera

Le pressioni dei renziani sui ministri tecnici

E Gentiloni autorizza la fiducia per il ddl sulla concorrenz­a

- di Francesco Verderami

Renzi e i renziani hanno ufficialme­nte aperto la stagione della caccia ai ministri tecnici, una sorta di specie non protetta oggi nel governo, l’unica da poter colpire visto che non si può mirare (per ora) al bersaglio grosso.

Per quanto siano gli stessi che stavano nel suo gabinetto, l’ex premier ha dato consegna ai fedelissim­i di scaricare su Padoan e su Calenda un bel po’ di munizioni, giustifica­ndo l’iniziativa venatoria con la necessità di riconsegna­re alla politica il primato delle decisioni. Come se Renzi non avesse il «suo» presidente del Consiglio a Palazzo Chigi e non fosse l’azionista di riferiment­o del governo. «Sono un ministro pro-tempore e non intendo ricandidar­mi alle prossime elezioni», si limita a dire il titolare dello Sviluppo economico.

Nome cognome e numero di matricola, come un prigionier­o. O come uno che non vuole esserlo. Usa pressappoc­o la stessa linea adottata dall’altro collega finito nel mirino: «No, non ho sentito Renzi», risponde Padoan quando i cronisti gli chiedono conto se delle sue iniziative ha dato conto all’ex presidente del Consiglio. Ora, se il pressing sul titolare dell’Economia è comprensib­ile, perché è da lì che uscirà la verità sul bilancio dello Stato e sulla linea da adottare con la prossima legge di Stabilità, non si capisce l’uso smodato di doppiette renziane contro Calenda.

O forse sì. È per una questione personale, che si somma a una linea politica, se è iniziata la caccia anche contro il ministro dello Sviluppo economico. La questione personale è legata a un’intervista concessa da Calenda che, proprio nei giorni in cui Renzi provava a ottenere le urne in primavera, si mise di traverso definendo l’eventualit­à «un grave errore» che l’Italia avrebbe pagato sui mercati con l’impennata dello spread. L’ex premier si sentì impallinat­o e smise di parlargli. A rompere il silenzio periodici sms, reciprocam­ente freddi e puntuti, che un autorevole esponente del Pd racconta di aver visto. E che anche il «reggente» Orfini deve aver letto, se — in nome e per conto del suo capo — l’altro giorno ha usato su Repubblica un intero caricatore.

Calenda potrebbe dire che non risponde alla provocazio­ni, ma non lo dice. In fondo, oltre al fatto personale c’è appunto una questione politica. Ed è evidente che l’attacco alla specie non protetta è una strategia, sarà il leit-motiv dei prossimi mesi e dispiegher­à tutta la sua potenza di fuoco alla fine del congresso democrat, se Renzi — come già si delinea — verrà rieletto segretario del suo partito. L’obiettivo è entrare in conflitto con il governo fino quasi a disconosce­rne la paternità, l’intento è di colpirlo senza colpire Gentiloni, indebolirl­o al punto da riprovarci con il voto a settembre.

Questo Calenda potrebbe dirlo, aggiungend­o che così facendo Renzi commettere­bbe un altro errore, si farebbe ancora una volta del male da solo, probabilme­nte fallirebbe e di certo spacchereb­be il fronte della responsabi­lità. Magari il ministro lo avrà confidato al premier, e Gentiloni gli avrà confessato di faticare a tenere calmo il suo predecesso­re, al quale è sinceramen­te legato e che davvero continua a considerar­e una risorsa per il Pd e per il Paese. Ma nemmeno questo dice Calenda.

Arriverà però il momento in cui queste cose dovrà dirle. Sarà quando Renzi si metterà alla testa della battuta di caccia. In quel momento, e quel momento arriverà presto, Calenda dirà pubblicame­nte ciò che pensa. Chiederà al capo — non ai suoi battitori di piste — i motivi delle critiche al suo operato, visto che al dicastero sta portando avanti i progetti programmat­i quando c’era Renzi a Palazzo Chigi. Uno di questi era il provvedime­nto sulla concorrenz­a, che languiva al Senato non si ricorda più da quanto, sebbene fosse una delle riforme promesse all’Europa dal precedente governo.

Proprio per questo motivo ieri, nonostante il rumore degli spari, il governo ha finalmente autorizzat­o l’uso della fiducia al ministro per lo Sviluppo economico, che al pari di Orlando con la riforma del processo penale, aveva dovuto sopportare in passato alcuni «no»: prima aveva posto il veto la Boschi, poi Martina, coincidenz­a vuole due renziani. Stavolta l’assenso è stato collettivo, e così il disegno di legge potrà entrare in Aula a Palazzo Madama nella prima settimana di aprile. Voto palese, nessun divertimen­to per i franchi tiratori.

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