Trent’anni di carcere all’uomo che uccise chi investì la moglie
La vendetta Tre colpi di pistola davanti a un bar: prevale la tesi della premeditazione
LANCIANO (CHIETI) La mamma di Italo, Diana, singhiozza tutto il tempo. Per lei e per il marito, Angelo, le lancette dell’orologio si sono fermate al 1° febbraio, quasi due mesi fa, eppure sembra ieri. «Niente ci restituirà nostro figlio ma lui, Fabio, non doveva farsi giustizia da sé». Il legale, Pompeo Del Re, dà voce alle ragioni dei due genitori. La sentenza arriva intorno alle 13: la Corte d’assise di Lanciano, dopo tre ore e mezzo di camera di consiglio, condanna a trent’anni di reclusione (più tre anni di libertà vigilata e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici) Fabio Di Lello, 34 anni, che ha freddato Italo D’Elisa, 21 anni, davanti al bar di Vasto che il giovane frequentava. Il procuratore, Giampiero Di Florio, e il sostituto Gabriella De Lucia avevano parlato di un delitto premeditato e avevano chiesto per lui l’ergastolo con isolamento diurno. I giudici hanno però applicato lo sconto di un terzo, previsto dal rito abbreviato.
Finisce così la storia di due tragedie. Italo, l’estate scorsa aveva investito la moglie di Fabio, Roberta Smargiassi, e l’aveva uccisa. Il marito da allora aveva perso la pace. Chiedeva giustizia. Quando ha ritenuto che tardasse ad arrivare, se l’è fatta da sé. Ha preso una calibro nove e ha sparato all’addome, alle gambe e alla testa del ragazzo. Nessuna provocazione, ha ripetuto il procuratore. Oggi fanno ancora male le parole di chi, sui social, alimentava la rabbia di Fabio. Che nell’ultima udienza ha
chiesto scusa: «L’ho fatto inconsapevolmente». Parole cadute nel vuoto, come la richiesta di perizia psichiatrica dei suoi difensori. Lui ieri è scoppiato a piangere quando il giudice Marina Valente ha letto la sentenza. Trent’anni e una provvisionale di 40 mila euro per ciascuna delle parti civili, ovvero i genitori e l’altro figlio.
«È morto un ragazzo e non possiamo gioire — riflette l’avvocato Del Re, che con Gianrico Ranaldi assiste la famiglia D’Elisa — però la sentenza riafferma un principio importante: siamo in uno Stato di diritto e non può esistere la giustizia fai da te. La giustizia, quella vera, si fa nei tribunali». La battaglia, come dice uno degli avvocati di Di Lello, Pierpaolo Andreoni, «inizia ora». «Ricorreremo in appello — conferma l’altro legale, Giovanni Cerella —, speriamo di ottenere un’ulteriore riduzione della pena. Non c’è stata premeditazione, i due si sono incontrati per caso».