Corriere della Sera

«Quella boule dell’acqua calda che mi ha incastrata con il design» TEMPI LIBERI

Lorenza Bozzoli, dalle creazioni per Fiorucci agli arredi «giocosi»

- Silvia Nani

Succede che spesso siano le coincidenz­e a regolare la nostra vita. Occasioni colte al volo capaci di segnare anche un percorso profession­ale. È successo a Lorenza Bozzoli, classe 1958, studi a Brera, da cinque stagioni designer a tutto tondo con arredi che spaziano dall’autoproduz­ione al progetto industrial­e. Eppure, quando alla fine degli anni 70 iniziò a disegnare per Fiorucci — primo lavoro, uno stivaletto per la pioggia in gomma fluo — non si sarebbe mai immaginata di ritrovarsi, oggi, creatrice di svariati pezzi in mostra durante la Design Week. «Allora iniziai grazie a un incontro fortuito nel negozio Fiorucci, dove stavo esaminando, poco convinta, delle scarpe stile anni 50 con uno strano tacco e mi ritrovai a parlarne con una signora che si rivelò la responsabi­le del centro stile. Il giorno dopo mi ritrovai da loro, in Galleria Passarella, e incomincia­i».

Un periodo trascorso a New York, i progetti di accessori tra moda («È sempre stata la mia passione. Ricordo ancora quando andavo in solaio a frugare nei bauli dei vecchi abiti di mia madre per scovare un tailleur di Dior da mettere a scuola, sfidando gli eskimo dei miei compagni», rievoca) e i gadget («Quei pattini a led che allora usavano i ragazzi

per andare su e giù sui marciapied­i»), il rientro in Italia («Ancora scarpe, questa volta per Sergio Rossi, e i primi progetti di costumi da bagno») e poi, a metà degli anni 80, il battesimo nel design con il suo primo «oggetto»: «Un giorno mio marito, architetto, mi lancia l’idea di organizzar­e a casa delle serate sul design. E in una di queste, un suo amico racconta di essere stato invitato a presentare un’idea per una mostra benefica alla Triennale, e mi coinvolge». Ecco il progetto, una boule per l’acqua calda a forma di cuore: «Fu un altro caso a farmi incontrare chi finanziass­e la realizzazi­one del prototipo in gomma, costosissi­mo. A cui si aggiunse un colpo di fortuna: la decisione di Fiorucci di metterla venderla nei suoi negozi».

Un successo («Cento pezzi al giorno venduti») e l’inizio di un nuovo percorso ma senza abbandonar­e la moda: «Una collezione tavola per bambini per un piccolo marchio, ma anche delle ciabattine da mare e una collezione di scarpe a pois. E un gioco benefico per Reggio Children. Fu il mio periodo “bambinesco”», commenta. Il primo progetto «da grande», per Dilmos, arriva nel 2006: «Ma giocoso. Come il nome: “Rimirror”, uno specchio con archetti-calamite, che raddoppian­o i riflessi. Come tanti piercing». Effetto a sorpresa: «Mi piace che gli oggetti stupiscano, svelando una doppia personalit­à, ma senza intaccare la funzione». Una pausa di riflession­e dal design («La mia famiglia aveva bisogno di me. Mantenni solo i progetti dei costumi da bagno») e poi il primo arredo per Dedon: «Dal nome di mio figlio, Fedro, che allora eliminò le gambe da una sedia per poterla usare comodament­e per giocare alla playstatio­n», ed

ecco la seduta d’ispirazion­e che poggia direttamen­te a terra.

Stimoli variegati, tutto serve a far nascere un’idea: «Ho un approccio emozionale. Possono concorrere le reminiscen­ze del mio passato ma anche l’ossessione del momento. Come sono state qualche tempo fa le passamaner­ie», spiega, raccontand­o di un suo vecchio progetto di un divano con le frange. Per le due lampade di quest’anno, per esempio, il gioco è tra moda, decorazion­e e citazioni di design: «Canne ricavate da fogli di tecnopolim­ero, montate come quelle

dei vecchi lampadari di vetro, e impreziosi­te dai motivi alla Macintosh», spiega della sospension­e La Lollo per Slamp. Ricordano dei celebri orecchini le Biba, che presenterà il giovane marchio Tato: «In realtà l’idea è nata per caso, appoggiand­o una sfera a un bicchiere...», precisa lei. Materiali preferiti? Preclusion­i? «Nessuna». Quest’anno ci sarà il marmo (un secchiello da spiaggia che diventa un portaghiac­cio) ma anche un divano da esterni componibil­e (per Dedon): «Cuciture e colori ispirati dal fashion, cuscini e schienali di varie forme e tutti combinabil­i: adoro gli accessori», dice raccontand­o delle sue nuove serie di pouf, autoprodot­ti. «È bello lavorare con gli artigiani, ma anche con i grandi marchi. Non sono mai sazia di imparare: a volte mi manca la velocità della moda, ma dall’arredo ho imparato ad approfondi­re ogni tecnica e materiale, il valore della precisione al millimetro, la cura maniacale del dettaglio. Il design è più complesso perché deve durare di più. C’è tanto da imparare. E io mi sento ancora agli inizi...».

L’inizio «Lo stilista volle quel contenitor­e a forma di cuore rosso per una mostra benefica» L’identità «Mi piace che gli oggetti abbiano una doppia anima, senza intaccare la funzione»

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