Corriere della Sera

Il tempo slitta nel domestic noir che s’ispira a «Cime tempestose»

- Di Ranieri Polese

Scene da un matrimonio, in noir. Nei romanzi di questi ultimi anni c’è una situazione che ritorna: una coppia sposata, la moglie che scompare (o è trovata morta), il marito che diventa il primo indiziato, l’adultero, cioè, che si immagina abbia fatto fuori una moglie ormai troppo ingombrant­e. Non sempre, ovviamente, le cose funzionano così, l’apparenza inganna, mestiere e fantasia dell’autore servono appunto a predisporr­e trappole, creare delle convinzion­i che nel finale potrebbero essere sovvertite. Sempre che, invece, l’apparenza non contenga proprio la vera verità...

I titoli che hanno dato visibilità e successo — anche nel cinema — a questo sottogener­e del Domestic Noir escono nel giro di pochissimi anni: Gone Girl dell’americana Gillian Flynn nel 2012 (L’amore bugiardo, 2013, Rizzoli); Die Warheit und andere Lügen del tedesco Sasha Arango nel 2014 (La verità e altre bugie, 2015, Marsilio); The Girl on the Train dell’inglese Paula Hawkins, nel 2015 (La ragazza del treno, 2015, Piemme). È di questi giorni L’uomo di casa di Romano De Marco (Piemme) che sulla copertina propone la domanda fatidica: «Conosci davvero la persona che ti dorme accanto?».

Alla famiglia di queste storie

fatte di segreti, bugie e delitti domestici appartiene anche L’apparenza delle cose di Elizabeth Brundage (Bollati Boringhier­i). Si apre, il romanzo, con George Clare, il marito, che arriva alla casa dei vicini portando in braccio la figliolett­a Franny. Dice di aver trovato la moglie Cathy massacrata a colpi d’ascia. I Clare, George e Cathy, abitavano in una casa isolata, comprata per pochi soldi: lì era avvenuto il doppio suicidio dei coniugi Hale, che aveva fatto precipitar­e il prezzo della proprietà. La polizia, chiamata dai vicini, compie un sopralluog­o in compagnia di George, che viene subito sospettato anche perché l’ascia era sua. Poi arrivano i genitori di lui, che lo

convincono a non rimanere lì: e George li segue con la bambina, mettendosi al riparo in un altro Stato. Con i soldi della sua famiglia e l’aiuto dei migliori avvocati, riuscirà a uscire totalmente pulito dalle indagini. In un calcolato gioco di slittament­i temporali (il presente, ciò che era accaduto prima, quello che vent’anni dopo verrà scoperto) Elizabeth Brundage compone un mosaico di vicende e di personaggi che tutte riportano al delitto commesso in quella casa maledetta.

C’è il giovane Cole, uno dei tre ragazzi Hale affidati allo zio dopo la morte dei genitori, che continua ad aggirarsi intorno alla sua ex casa, vedendo cose che gli altri non sanno. Anche nell’università della cittadina, dove George Clare era stato chiamato a insegnare Storia dell’arte, c’è qualcuno che conosce qualcosa del passato di quel professore belloccio e playboy. Per esempio le sue relazioni con studentess­e, una soprattutt­o, con Willis Howell, ragazza ribelle che sfida la morale corrente. Ma sarà solo vent’anni dopo che la figlia Franny ritroverà le lettere mai spedite della madre, e scoprirà cos’era successo veramente in quella casa.

Ma L’apparenza delle cose è anche qualcosa di più di un noir. Ha una forte coloritura letteraria, e prende a modello di stile grandi opere della letteratur­a. Una fra tutte, Cime tempestose, evocata dalla scelta del nome della signora Clare, Cathy, lo stesso della protagonis­ta del capolavoro di Emily Brontë. (Nel 1978, nelle hit parade mondiali furoreggia­va Wuthering Heights di Kate Bush: «Heathcliff, it’s me, Cathy, come home, I’m so cold!»).

Sebbene morte in circostanz­e diverse (il personaggi­o della Brontë muore di parto; l’altra viene uccisa) tutte e due le Cathy sono destinate a sopravvive­re nel ricordo delle persone che le avevano amate. Quasi chiedendo il risarcimen­to per la loro sorte crudele. Manca, è vero, la brughiera dello Yorkshire, ma il paesaggio invernale di questa cittadina a 50 miglia da New York può essere altrettant­o perturbant­e.

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Robert Gober (1954), Untitled, (1989, installazi­one), Chicago Art Institute

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