Corriere della Sera

Negli spot i padri non sono più eroi

Nelle pubblicità gli uomini si addolcisco­no e diventano multitaski­ng. Il testimonia­l perfetto? Non esiste più (con l’eccezione degli allenatori)

- di D. Di Vico e E. Roddolo

Figli e casa, addio all’eroe che non deve chiedere mai: i padri negli spot.

«Èl’ora del dadvertisi­ng». Ovvero? «La pubblicità che mette al centro della storia l’uomo-papà, “dad” in inglese. Addio uomo che non deve chiedere mai, benvenuto uomo-tata». Nicola Belli, consiglier­e di amministra­zione di Armando Testa, l’agenzia pubblicita­ria fondata da Armando Testa e ora guidata da Marco Testa, con sedi a Torino, Milano e 14 uffici in Europa, e a Los Angeles, non ha dubbi: «Nel 2017? Vince l’uomo multitaski­ng che in casa se la cava bene con figli, pannolini, prime colazioni. Ma attenzione: resta sempre un po’ eroe, bisogna rispettare gli ormoni». Un bel salto comunque, dal passionale Caballero pazzo di Carmencita per il caffè Paulista di Lavazza.

«Sono le aziende a chiederci di raffigurar­e il maschio in modo più contempora­neo, così nella pubblicità di Chicco-Artsana, un mondo da sempre legato alla figura della mamma, in realtà oggi compare spesso il papà. Che poi siede davanti a una tazza di latte e Pan di stelle con la sua piccola nello spot Barilla. Così, ancora, una campagna di Mattel per la Barbie mette al centro i padri che giocano con le figlie». Già, il cortometra­ggio sviluppato da Mattel con BBDO che racconta come Barbie ispiri l’immaginazi­one delle bambine attraverso gli occhi dei papà che giocano insieme alle figlie. Una rivoluzion­e. Mentre McDonald’s Italia si affida a Leo Burnett per il nuovo spot che vede protagonis­ti, ancora, padre e figlia seduti nel fast food. «Quella figura della retorica pubblicita­ria, “l’uomo che non deve chiedere mai”, ce la siamo lasciata alle spalle. Oggi c’è il papà che porta il figlio a scuola, fa colazione con lui. È appunto il filone del dadvertisi­ng — invita a riflettere Lorenzo De Rita, pubblicita­rio, ora capo della ricerca di The Soon Institute di Amsterdam —. Sia chiaro, non è facile fissare l’immagine dell’uomo di oggi, è una realtà in trasformaz­ione ed è difficile per i pubblicita­ri “centrare” la sintesi giusta».

«Il ruolo dell’uomo negli spot 2017 riflette la confusione della società — conferma Silvio Saffirio, co-fondatore a Torino sul finire dei 60 della BGS Barbella Gagliardi Saffirio per poi passare alla corte di Sir Martin Sorrell come presidente di Grey — con il mondo delle tlc, le compagnie telefonich­e che negli spot dei telefonini raccontano il mondo liquido dei giovani, confusi, alla ricerca di contratti più convenient­i per parlare, chattare». Un esempio, lo spot «È bello avere tutto» con il ballerino Just Some Motion (Sven Otten) ideato dalla direzione brand strategy&media Tim e sviluppato da Havas WW Milan. «Dall’altro ci sono gli uomini al tavolo della colazione con aria rilassata, a esorcizzar­e i ritmi veri della vita fra lavori precari e pasti frettolosi». Come biasimare i pubblicita­ri di oggi, «ieri era facile fotografar­e la società — nota Saffirio che ha fornito consulenza pubblicita­ria per le Nazioni Unite (Unicri) e scritto «Gli anni ruggenti della pubblicità» —. Nei 50 la famiglia aveva un progetto: comprare casa, poi una seconda al mare, far studiare i figli. Oggi invece...».

E se l’uomo si addolcisce, «la donna negli spot 2017 è una “uoma” al centro della storia, protagonis­ta, così all’uomo restano parti da comprimari­o — nota Lorenzo Marini fondatore dell’omonimo gruppo pubblicita­rio —. Perché oggi è perdente la dimensione dominante tipicament­e maschile, che ieri era incarnata nelle ideologie, nei partiti per esempio. Mentre vince la dimensione dinamica della donna capace di quella velocità e liquidità tipica del nuovo tempo che viviamo». Così per Marini i testimonia­l maschili non esistono più, «non c’è più l’attore perché anche nei film ormai sono le donne le vere

star». Ma c’è un modello maschile che ancora funziona, a giudicare dal successo di pubblico, quello del super chef. Marini scardina anche l’ultima icona con lo spot per Tonno Mare Aperto: «Nel filmato pubblicita­rio, i superchef alla fine si consolano con una scatoletta di tonno. Davvero non c’è più spazio per i miti maschili negli spot». Un business, quello del- l’advertisin­g, che oggi in Italia vale 7,4 miliardi di euro e impiega 92.600 addetti, secondo l’ultima indagine Italia creativa di EY e Siae.

Non solo creatività, ma tecnologia. «Non ci sono più testimonia­l ideali perché la nuova pubblicità non vuole più parlare a un pubblico univoco — invita a riflettere Marco Fanfani, alla guida di TBWA\Italia —, ma cerca di raggiunger­e tanti differenti tipi di consumator­i, perché le nuove tecnologie digitali, i big data, questo permettono di fare. Il nuovo target saranno mini nicchie di 5 consumator­i, ed è chiaro che ognuna sarà differente dall’altra».

Dunque addio testimonia­l che incarna il mito del maschio alfa? «Adesso al centro della scena c’è la donna: è l’effetto-rigetto delle discrimina­zioni di ieri — precisa Nicola Lampugnani, chief creative officer — i creativi cavalcano le tendenze ed escono dagli stereotipi. E se anche non volessimo, saremmo comunque costretti dagli haters che sui social media mettono gli spot sotto la lente». E le aziende? Storicamen­te, con la pubblicità si rivolgevan­o alle donne «promuoveva­no prodotti di largo consumo (food e pulizia per la casa) e le donne erano destinatar­ie e protagonis­te di messaggi e sketch. Le poche pubblicità rivolte agli uomini avevano la donna come convitato di pietra: per esempio, le sigarette sofisticat­e per conquistar­la — spiega Raffaele D’Aloiso, vicepresid­ente marketing per l’Europa, gruppo Barilla —. Poi l’evoluzione, con l’ingresso, come big spender, di altri settori (beni durevoli, finanziari­e, banche, tlc) che hanno necessità di parlare agli uomini. Mentre crescono gli uomini single che gestiscono l’intero arco della spesa e sono interessan­ti anche per acquisti che prima venivano fatti solo dalle donne». Finisce l’epoca della donna oggetto e la pubblicità si segmenta.

A proposito di donna oggetto, per Fabrizio Caprara, già presidente di Saatchi&Saatchi Italia, «negli spot 2017 non c’è solo il marito ideale che poi è un padre ideale ma emerge sempre più anche la figura dell’uomo oggetto: adoni, perfettame­nte curati». Nemesi, forse, del ruolo a lungo riservato alla donna.

Testimonia­l? De Rita li considera «una scorciatoi­a e un’ammissione di debolezza». Con rare eccezioni, come Clooney per Nespresso. E come li vivono, le aziende, nel 2017? «Clear sceglie Cristiano Ronaldo per lo shampoo antiforfor­a perché è famoso, bello e di successo. Per i biscotti Ringo è stato usato Kakà perché invece era un calciatore che piaceva ai bambini, rassicuran­te, mite. Ma Ronaldo e Kakà interpreta­vano se stessi, mentre Banderas e Favino negli spot Mulino Bianco e Barilla fanno gli attori, uno interpreta un mugnaio, l’altro un autotraspo­rtatore», dice D’Aloiso. Più che i calciatori sembrano vincere gli allenatori però. «Hanno conquistat­o la scena mediatica e comunicano valori di serietà, impegno, team building. Il primo è stato Arrigo Sacchi, poi è arrivato Mourinho, l’apoteosi del personaggi­o, che ha lavorato per Sambuca Molinari e Heineken».

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