Corriere della Sera

LA MEMORIA COME ANTIDOTO

- Di Massimo Franco

Chiedere un supplement­o di memoria come antidoto alla disgregazi­one è un messaggio non solo a Milano, ma all’Italia e all’Europa.

Jorge Mario Bergoglio ha usato il pulpito della più grande diocesi del Vecchio continente per additare il rischio delle «soluzioni magiche della divisione e dell’estraniame­nto». Memoria significa ricordare che le fratture europee hanno prodotto due conflitti mondiali nel secolo scorso; ma anche un patrimonio di valori e di personalit­à da non disperdere. Evocando la complessit­à e l’apertura a tutti di una città che forse oggi è la più europea in Italia, Francesco ha evocato una sfida fatta di capacità di accogliere e amalgamare l’umanità e le esperienze più diverse. Sono tratti che si ritrovano nel simbolismo di ogni tappa del suo viaggio-lampo: una visita attesa a lungo, anche troppo; che è avvenuta in un momento di passaggio per il papato argentino e per la Chiesa italiana; e che è stato accompagna­to da una partecipaz­ione popolare straordina­ria, in una giornata particolar­e. Francesco ha parlato ai cattolici, ma non solo, mentre a Roma l’Europa istituzion­ale celebrava il 60° dei Trattati costitutiv­i dell’Ue, in uno dei suoi momenti più critici. E l’impasto di umanità e di cordialità con l’arcivescov­o di Milano, Angelo Scola, e l’impatto con il calore della folla, hanno consegnato la sensazione di un’unità ritrovata: un dato che fino a qualche mese fa non appariva così chiaro.

Momento di passaggio La visita sembra aver chiuso il primo quadrienni­o del pontificat­o di Bergoglio, si apre una stagione di raccordo con l’episcopato

In qualche modo, Bergoglio sembra aver chiuso il primo quadrienni­o del suo pontificat­o, figlio di un Conclave con marcate venature anti-italiane a causa delle dimissioni di Benedetto XVI. E promette di aprire una stagione di maggiore raccordo e coinvolgim­ento di un episcopato italiano disorienta­to dal Papa argentino. Anche perché della crisi di identità europea la Chiesa cattolica è una parte non piccola. In questi anni ha vissuto problemi speculari a quelli dell’opinione pubblica. E non sempre ha saputo additare una soluzione o anche solo un argine allo sgretolame­nto dei valori occidental­i. Le critiche papali a una religiosit­à chiusa, sulla difensiva, e all’Europa «sterile», sono nate in questo contesto. Francesco ha rilanciato la sua visione come sfida soprattutt­o alla rassegnazi­one. Lo ha fatto lungo le strade di Milano; nello spiazzo delle Case bianche, porta di ingresso periferica ma strategica, per lui; nello stadio di san Siro, e davanti a oltre mezzo milione di persone nel Parco di Monza. In poche ore ha cominciato a conoscere una realtà che in parte gli era ignota, e che gli ha rivelato un radicament­o popolare profondo e autentico. Il risultato è stato un invito forte a rifiutare il riflesso della paura. E a ben guardare, suona come risposta indiretta all’allarme e al senso di precarietà prodotti da attentati terroristi­ci come quello di mercoledì a Londra. Ma la prospettiv­a proposta da Francesco va oltre il ripiegamen­to provocato dall’eversione che si definisce islamica. È l’affermazio­ne serena e ferma di un modello di società opposto a quello di chi predica e tenta di costruire un’Europa e un Occidente dominati dall’intolleran­za e dalla paura; e sogna una sorta di fortezza che dovrebbe proteggere da un male che diventa pregiudizi­o verso l’«altro». Per il Papa, significhe­rebbe seminare i germi non della sua salvezza ma della sua autodistru­zione.

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