Cortei pacifici e sotto controllo La città blindata supera la prova
La strategia per contenere i centri sociali Duemila persone controllate e 122 fermi, per trenta di loro è arrivato il «foglio di via» Minniti: una bella giornata per l’Europa
ROMA «Una bella giornata per l’Italia e per l’Europa», dirà alla fine il ministro dell’Interno, Marco Minniti, tirando un sospiro di sollievo con tutti i romani. Ma per i 60 anni dei Trattati europei, tra allarme terrorismo e pericolo black bloc, il centro della Capitale è rimasto blindato per 24 ore da uno schieramento mai visto di mezzi e forze dell’ordine: almeno 7 mila agenti di cui mille in borghese, eppoi reggimenti di polizia a cavallo, la no fly zone in cielo e perfino i subacquei nel Tevere per scongiurare qualsiasi tipo di attacco. A loro anche il ringraziamento del capo della polizia Franco Gabrielli.
Quattro cortei in un giorno solo erano una difficile prova da superare, tanto più che la questura, nell’ultimo comunicato di ieri sera, ha tenuto a sottolineare che «tutte le attività poste in essere hanno sventato un chiaro progetto di devastazione della città». Il riferimento non era certo rivolto al corteo «La nostra Europa» dei sindacati italiani ed europei (con Susanna Camusso, Maurizio Landini, il greco Varoufakis) partiti in 2500 da piazza Vittorio, né a quello della destra sovranista di Alemanno e Storace (1500 persone) che ai Fori imperiali ha provveduto da sola a zittire subito un’ottantina di neofascisti col braccio alzato. E neppure, infine, all’iniziativa del Movimento federalista europeo, con Mario Monti e Debora Serracchiani che hanno parlato all’Arco di Costantino.
Il «progetto di devastazione» era piuttosto, secondo la questura, quello del corteo pomeridiano che dalla Piramide Cestia puntava alla Bocca della Verità. Cartelli «No Tav, No Muos, No Borders», centri sociali romani, del Veneto, del Piemonte, della Toscana, ma anche Carc, Cobas, cassintegrati della Fiat di Pomigliano, lavoratori Fercam e Alcar 1 di Modena a rischio licenziamento e infine il coordinamento romano di lotta per la casa con tanti immigrati eritrei e latinos al seguito: 3 mila persone in tutto, però, rispetto alle 8 mila annunciate. Forse un segno di crisi. Niente a che vedere col movimento no global del 15 ottobre 2011 che devastò San Giovanni o con l’acampada di Porta Pia dell’aprile 2014, che portò in piazza numeri assai più rilevanti.
Il momento critico, ieri, è arrivato alle 17, sul lungotevere, poco prima del bivio per il Circo Massimo, quando dal camioncino dei centri sociali ha preso la parola un ragazzo di Padova: «Il 25 marzo 2017 è una giornata che deve segnare l’opposizione più ferma possibile...». Sembrava un chiaro incitamento allo scontro, ma è stato in quel momento esatto che la polizia si è fatta avanti con gli scudi e i caschi, bloccando sul nascere le decine di ragazzi che avevano già calato i cappucci. Segno che gli
agenti in borghese infiltrati nel corteo, appena percepito il cambio di strategia, hanno allertato i colleghi in divisa. Lo stesso tipo di lavoro sottotraccia della Digos, come quello dei carabinieri del Nucleo informativo, aveva già permesso di bloccare 170 anarchici francesi.
La questura parla di «2 mila persone controllate e 122 fermate; a 30 è stato notificato il foglio di via». Mazze, bastoni, tondini di ferro e blocchi di ghisa occultati lungo la strada sono stati scoperti e sequestrati. Ma neppure un bancomat è stato toccato: né danni né scritte, a Testaccio. «Noi i nostri quartieri li proteggiamo», spiegava un manifestante andando via. Forse, chissà, un altro segnale di cambiamento.