Corriere della Sera

Gli ultraconse­rvatori ora minacciano Trump Dopo la rinuncia a bocciare l’Obamacare, a rischio l’agenda del presidente. A cominciare dalla riforma fiscale

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE Giuseppe Sarcina

WASHINGTON Poche ore prima della rovinosa disfatta parlamenta­re sulla riforma sanitaria, Donald Trump aveva colto il paradosso del momento con un tweet, venerdì mattina: «L’ironia è che il Freedom Caucus, che è molto “pro life” e contro Planned Parenthood, consentirà a questo organismo di continuare a operare se blocca il nostro piano».

Freedom Caucus è la corrente iper conservatr­ice del partito repubblica­no, costituita nel 2015 e guidata da Mark Meadows; vicina per ideologia e verve polemica al vecchio Tea party: una forza che vale 29 seggi alla Camera dei rappresent­anti. I calcoli sono facili. Al momento la maggioranz­a nella House è pari a 216 voti (su 435, ma 5 sono scoperti). I repubblica­ni sono 237. Il margine del dissenso, dunque, sarebbe potuto arrivare fino a 21. Fin dall’inizio è stato chiaro che lo speaker Paul Ryan, il presidente repubblica­no della Camera e regista di tutta l’operazione, non avrebbe potuto contare su una decina di «moderati». Uno di loro, Frank LoBiondo, spiegava al Corriere nei corridoi di Capitol Hill: «Non appoggerò una legge che taglia le prestazion­i per i più deboli. I miei elettori del New Jersey, persone con bassi redditi, non lo capirebber­o».

L’epicentro sorprenden­te della sconfitta, dunque, va cercato, «ironicamen­te», come dice Trump, proprio tra gli avversari più convinti dell’Obamacare. Secondo il New York Times su 33 repubblica­ni contrari, almeno 15 sarebbero rappresent­anti del Freedom Caucus. Manca la controprov­a ufficiale, ma questi numeri sono comunque un avvertimen­to per l’outsider Donald Trump e per la sua agenda di riforme, dal fisco alle infrastrut­ture. Il presidente ha scoperto che l’insidia può venire non solo dal blocco tradiziona­lista, ma anche dall’area più radicale, che pensava di poter controllar­e agevolment­e. Sono deputati che arrivano soprattutt­o dagli Stati del Sud, Arizona, Florida, Texas, Alabama, o dalle sacche più conservatr­ici della Virginia, dell’Iowa. Politici senza rivali nelle loro circoscriz­ioni. L’anno scorso erano stati i più pronti a dare credito alla rivoluzion­e anti-establishm­ent promessa dal costruttor­e newyorkese. Uno di loro, Dave Brat della Virginia, intercetta­to in una pausa a Capitol Hill, racconta la sua visione politica e sembra di sentire Trump: «Esiste una rete formata dalla stampa liberal, dal New York Times, che massacra sistematic­amente noi conservato­ri. Hanno complici in spezzoni dei servizi, a Washington».

Il Freedom Caucus è, oggi, forse il gruppo più compatto e determinat­o: esige la cancellazi­one totale dell’Obamacare e non parziale come previsto dal provvedime­nto di Ryan; pretende l’azzerament­o dei fondi pubblici per Planned Parenthood, appunto, l’ente di assistenza a favore delle donne; non vuole aumentare la spesa pubblica; chiede un taglio radicale delle tasse. È stato un grave errore, a questo giro, sottovalut­arli.

Chi rischia di più, ora, è proprio lo speaker Ryan. Nei giorni scorsi alcuni deputati, non solo del Freedom Caucus confidavan­o, chiedendo l’anonimato: «Si è presentato in maniche di camicia e con il tabellone. Sembrava un professori­no, ci ha trattato come scolari, quando avrebbe dovuto ascoltare le obiezioni e trovare un punto di compromess­o. Così sarebbero arrivati anche i voti».

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