Corriere della Sera

«A sedici anni nascondevo una pistola nello zaino Chiara? Sono più ricco di lei»

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Lei, invece, si chiama Federico Leonardo Lucia.

«Leonardo era mio nonno paterno, di Castel Lagopesole, 600 abitanti in Basilicata. Tramite mia nonna ho un legame di sangue con Ninco Nanco, il brigante: nella foto del suo cadavere è uguale a mio padre».

«È stato estratto a sorte tra i nomi che piacevano ai miei».

«C’è un filmino in cui mio padre mi tira con lo slittino e si rovescia: eravamo a Ponte di Legno, mi feci malissimo».

«Non per la grassezza, era il contesto. Casa mia era al confine tra Buccinasco e Corsico, leggendo un libro su Vallanzasc­a mi sono accorto che metà dei miei compagni di classe avevano cognomi poco raccomanda­bili. A quei tempi c’erano mode da seguire e io non le seguivo».

Tipo?

«Dovevi giocare a calcio: mai fatto. Truccare il motorino: non l’avevo. Ascoltare certa musica: facevo l’opposto. Non ero molto socievole».

«Sono tornato più di una volta a casa senza scarpe».

Prego? erché Fedez?

«È il nome del file di una mia vecchia foto, di quando giocavo a basket. Glielo diede un mio amico di allora, Mauro. Non lo sa nemmeno: non ci sentiamo da 15 anni».

E Federico perché? Il suo primo ricordo? Era un bambino paffutello. Bullizzato? E quindi cosa succedeva?

«Sì, mi fermavano per strada e mi chiedevano: “Che numero hai?”. E lì non c’era niente da fare, te le toglievi e gliele davi. Ero alle medie. Comunque non la ricordo come una cosa traumatica, succedeva a tutti».

Il periodo della pistola a quando risale?

«E lei come lo sa?».

Lo ha scritto nel suo ultimo libro: «FAQ. A domanda rispondo».

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