«Così è ripartita la Seat» Ora l’auto made in Germany
«Siamo guariti». Esordisce così Luca de Meo, presidente di Seat, alla presentazione dei risultati finanziari 2016, tornati in attivo dopo nove anni. «Un fatturato di 8,6 miliardi e 143 milioni di risultato operativo sembrano poco, ma sono solo l’inizio. Quest’anno abbiamo tre prodotti importantissimi, la nuova generazione dell’Ibiza, la nostra auto icona, e due Suv, l’Arona del segmento B e l’Ateca del C, due fasce fondamentali, siamo uno dei marchi con maggiore crescita in Europa». Quali modelli avete in gestazione?
«Da pochi giorni abbiamo deliberato un altro Suv, che si colloca sopra l’Ateca, da sette posti. Non è ancora deciso il nome, pensavamo di costruirlo in Messico, invece verrà assemblato a Wolfsburg, sulla piattaforma della Volkswagen Tiguan. La Seat è al centro del sistema, questa sarà una vettura designed in Barcellona e made in Germany. Attingendo alla tecnologia del gruppo, in meno di 18 mesi portiamo la macchina dal disegno alla vendita». Sarà un’automobile tedesca, quindi.
«È un messaggio molto importante, anche politicamente. Il peso di Seat rappresenta quasi l’1% del Pil in Spagna ed è il quarto per l’ economia in Europa. Con la vendita di oltre l’80% della nostra produzione all’estero, siamo il più grande esportatore spagnolo, rappresentiamo il 3% della bilancia commerciale totale. Siamo in stretto contatto con il governo che segue da vicino questa evoluzione. Se noi assumiamo una persona, l’indotto ne assume sette. Un’azienda è grande non per le sue dimensioni, ma quando fa profitti, quando spinge il progresso e dà lavoro, in un momento in cui la disoccupazione
giovanile è a livelli preoccupanti». Per voi i valori sociali cosa rappresentano?
«Seat vuole distribuire prosperità alla comunità, vuol occuparsi di ricerca, di rapporti con l’università. Nel 2016 abbiamo investito più di 862 milioni di euro, circa il 10% del nostro fatturato, il massimo per questo Paese, in ricerca e sviluppo. Contiamo 100mila dipendenti diretti, il 53% dei nuovi assunti ha meno di 30 anni. Ho una grandissima fiducia nella generazione dei Millennials, mi ricorda quella degli anni ’70, però senza quella gabbia ideologica che li opprimeva». In che senso?
«Sono preparati, aperti all’innovazione, con mentalità imprenditoriale, stanno entrando nelle stanze dei bottoni, si sono formati in un mondo che convergeva e che dopo l’11 settembre ha iniziato a divergere. Abbiamo il compito di creare le condizioni per integrarli nell’organizzazione, sono meno gerarchici, più aperti e sempre connessi». Si parla tanto di auto connessa.
«Sono convinto che il tema della connessione è come il passaggio dall’iPod all’iPhone, è sempre lo stesso oggetto, ma uno non è connesso. È un aspetto ancora sottostimato dall’industria; per noi, invece, con la clientela dieci anni più giovane della media europea, ha una valenza fondamentale, conosciamo prima degli altri le esigenze dell’utente. Inseriamo nell’auto il massimo dell’hardware, al centro di un ecosistema digitale, e iniziamo a connettere l’auto con il telefono, con le infrastrutture, con i concessionari, con i clienti, con altri veicoli. Questo insieme genera milioni di transizioni e dove c’è transizione c’è business». Chi controllerà questa trasformazione?
«Sarà Google? Sarà un nuovo operatore? Saremo noi? Non si sa, ma un’auto inserita in un ecosistema digitale genera business supplementare. Cercheremo di essere in prima linea in questa frontiera. Nel porto di Barcellona è stata creata una struttura fantastica, un
acceleratore con più di 100 start up, partecipiamo con un laboratorio dedicato all’auto connessa con 50 nostri ingegneri ». Cosa significa?
«Vogliamo offrire un servizio. Si può decidere dove parcheggiare la vettura, prenotare il posto prima di arrivare, pagare le autostrade e l’assicurazione: il nostro centro ricerche sta sviluppando questo processo». Altre novità ci aspettano?
«Tre modelli nuovi in 24 mesi sono un evento assolutamente per noi inedito, dopo arriverà l’auto elettrica. La prima nel 2019, basata su una delle due piattaforme che esistono già, o quella della Up o quella della Leon: al momento sono più orientato sulla piccolina». Quale sarà il futuro delle elettriche?
«Il nostro gruppo sta investendo in modo pesante sul tema delle elettriche, dispone di un’altra architettura rivoluzionaria che si chiama Meb. Avremo la possibilità di avere la migliore elettrica che ci sarà al mondo, un’opportunità unica, stiamo discutendo al nostro interno come far parte di questo progetto, ne parliamo dopo il 2020. Quindi nel 2019 la prima elettrica, dopo la potenziale utilizzazione delle Meb, di seguito da rifare tutta la famiglia Leon. Daremo una scossa in termine di design interno ed esterno, realizzeremo quello che la gente si aspetta da una marca del Sud, ossia auto emozionali». Dal disegno classico o futuristico?
«Sull’elettrico dobbiamo avere un linguaggio differente, molto innovativo». E per le auto tradizionali?
«Per gli altri modelli ci basiamo sullo stile esistente, rinnovandolo continuamente, inserendo sorprendente sensualità e creatività».