La guerra dei campanili dentro Iren: l’Emilia contro Torino e Genova
Tutti i matrimoni all’inizio sono perfetti, poi arriva la crisi del settimo anno. A quanto pare Iren non fa eccezione. La multiutility nata nel 2010 dalla fusione delle ex municipalizzate di Torino, Genova, Reggio Emilia, Parma e Piacenza ha visto crescere negli ultimi mesi l’insoddisfazione tra i propri soci, che sono uniti in un patto di sindacato.
Come in ogni matrimonio, è impossibile troncare con la famiglia di origine e i Comuni emiliani lamentano per i propri territori un’eccessiva disattenzione da parte della società guidata da Massimiliano Bianco (amministratore delegato) e Paolo Peveraro (presidente). L’accusa non troppo velata è di preferire per gli investimenti i territori dell’altro ramo della famiglia, ovvero i Comuni di Genova e Torino, che li hanno espressi. Anche se, a onor del vero, il sindaco di Genova Marco Doria aveva usato un cacciatore di teste per individuare sul mercato Bianco, che aveva un passato anche all’Acquedotto Pugliese.
La vita per Iren non è facile nemmeno a Genova, dove il consiglio comunale ha bloccato anche con i voti della maggioranza, che in teoria sostiene il sindaco Doria, la delibera con cui la multiutility avrebbe dovuto acquisire il 51% di Amiu, l’azienda che raccoglie i rifiuti della Lanterna, con oltre 1.500 dipendenti, e carica di debiti. Insomma, l’azionista ha votato contro la propria partecipata, con una logica tutta politica di mantenere di proprietà del Comune un’azienda — quella dei rifiuti — che sta fallendo. Eppure Iren è l’unica società ad avere presentato una manifestazione di interesse per Amiu. La delibera ora tornerà in consiglio comunale e si vedrà.
L’operazione Amiu è stata un detonatore. E il malcontento emiliano, se in passato era un fenomeno carsico, è venuto in superficie. È il 7 febbraio quando l’assessore al Bilancio del Comune di Reggio Emilia, Daniele Marchi, lancia l’allarme: «Vedo un rischio: che le politiche industriali del gruppo Iren parlino sempre meno la nostra lingua». Per Marchi è «una questione di investimenti e di territorio. È questione di porre al centro tutti i territori in cui la multiutility ha radici molto profonde». I Comuni emiliani contestano che i 350 milioni di investimenti sostenuti negli ultimi tre anni siano finiti tutti a Nord-Ovest per acquisire, ad esempio, il 45% di Gaia (trattamento
rifiuti dell’area astigiana), il 51% (in partnership con Ladurner) della società che gestirà l’impianto di trattamento rifiuti di La Spezia, il 60% della multiutility Atena Vercelli, l’81,5% di Trm (il termovalorizzatore di Torino). Reggio Emilia chiede dunque quale sia il piano di Iren per l’Emilia occidentale, in attesa di vedere qualche investimento per lo sviluppo e la ricerca, in collaborazione con l’università, su innovazione e
rinnovabili. Sono intervenuti anche i Comuni più piccoli. Il sindaco di Scandiano, Alessio Mammi, a lungo coordinatore del patto tra i Comuni reggiani azionisti di Iren, ha rincarato la dose e ha puntato il dito contro il debito del Comune di Torino: nei primi 6 mesi del 2016 è arrivato a 180,4 milioni, contro i 9,3 milioni di quello di Genova, gli 8,2 milioni di Parma, i 3,8 milioni di Reggio Emilia e l’1,6 di Piacenza. Certo, il debito di Torino è cresciuto in seguito all’acquisizione da parte di Iren di Amiat, la società che gestisce i rifiuti del capoluogo piemontese, ma la cifra è quella. E così Mammi chiede che sia «rispettato» il piano di rientro sottoscritto nel 2012 dall’allora sindaco Piero Fassino.
Infine c’è Parma, che nel braccio di ferro tra dipendenti e azienda per il rinnovo del contratto, ha deciso di prendere le parti dei lavoratori. Il sindaco Federico Pizzarotti ha scritto loro una lettera pubblica a sostegno dello sciopero del 17 marzo, spiegando che «l’attuale amministrazione ha sempre sostenuto l’interesse politico alla reinternalizzazione, in house, di servizi essenziali come la gestione di acqua, gas e rifiuti».
I numeri di Iren aggiungono dettagli importanti sul matrimonio: nel 2016 i ricavi sono cresciuti del 6,1%, il margine operativo lordo del 20%, l’utile netto del 47% e il dividendo del 14% rispetto al target di piano. Bianco ha anche ricevuto il premio «Manager Utility dell’anno 2016». Insomma, insoddisfazione sì, ma per il divorzio c’è tempo.