Pentothal è Andrea Pazienza, nel mondo dei sogni e della storia
Èora di prendere il fumetto sul serio. Un buon modo per cominciare è Andrea Pazienza. Il mio nome è Pentothal, un lavoro dedicato al rivoluzionario fumettista Pazienza (1956-1988) e incentrato in particolare sulla sua opera d’esordio Le straordinarie avventure di Pentothal. Il testo, curato da Luigi Di Fonzo (Ianieri Editore), analizza e contestualizza l’avventura di Pentothal, apparsa in dieci episodi sulla rivista «Alter Alter» tra aprile 1977 e luglio 1981: ogni numero viene esplorato, interpretato nei suoi significati, spiegato nei rimandi e nelle citazioni. Ne risulta una esegesi appassionata che racconta, a partire dal testo inteso qui come insieme di parole e disegni, la vita e il mondo del fumettista.
Pazienza, nato nel comune marchigiano di San Benedetto del Tronto nel 1956, è scomparso appena 32enne a Montepulciano, nel Senese, dopo aver collaborato con le riviste «Linus», «Il Male» e «Frigidaire», avere creato personaggi (oltre a Pentothal, Zanardi e Pompeo) e aver realizzato locandine di film (per Fellini) e copertine di dischi (Vecchioni). Ripercorrere quell’avventura artistica giovanile vuol dire, come scrive lo stesso Di Fonzo, 55enne giornalista pescarese, «conoscere gli anni di una generazione — quella chiamata “Movimento del ’77” — isolata e tradita, sia dalla politica che dalla cultura ufficiale».
Pentothal è il nome — preso a prestito dal noto siero della verità — scelto da Pazienza per il suo doppio fumettistico: «Pentothal è Andrea Pazienza quando vaga nel mondo dei sogni, mondo dove non esistono segreti né inibizioni». Il lavoro di Di Fonzo (cui ha collaborato Pierpaolo De Simone; la prefazione è di Enzo Verrengia che con Pazienza condivise gli anni bolognesi) esplicita la ricchezza e la complessità di un’opera a fumetti che diventa strumento, nuovo e sorprendentemente efficace, «per raccontare fenomeni sociali e dove il narcisismo autobiografico dell’artista si confronta duramente con la cronaca e il vissuto»; ma Pentothal diventa per Pazienza anche un mezzo per «scavare oltre l’apparenza della società delle ideologie di massa» e un tentativo «di rimettere al centro dell’attenzione la soggettività e l’individuo».
Di sé Pazienza disse: «Disegno da quando avevo diciotto mesi» e «Io sono il più bravo disegnatore vivente». La prima affermazione, ammette, potrebbe essere falsa; la seconda, era invece vera, a capirlo fu fin da subito Oreste Del Buono che riconobbe il talento di Pazienza e definì il suo primo lavoro una «splendida e insuperata opera d’arte». Il lavoro di Di Fonzo aiuta a capire, a distanza di cinquant’anni dall’uscita, perché.