Corriere della Sera

Migrano 750 mila italiani per curarsi in altre Regioni

Questa secondo il Censis la quota di connaziona­li che cercano una risposta ai propri bisogni sanitari lontano da casa, con disagi e costi notevoli

- Maria Giovanna Faiella

Ogni anno circa 750 mila italiani scelgono di farsi ricoverare in una Regione diversa dalla loro. Quando la scelta di migrare a chilometri di distanza è spinta dalla necessità, perché nella propria Regione non sono disponibil­i le cure di cui si ha bisogno o le liste di attesa sono troppo lunghe, il disagio tocca i limiti dell’umana sopportazi­one. È quanto rileva la ricerca «Migrare per curarsi, racconto di un fenomeno fantasma», realizzata dal Censis su incarico dell’associazio­ne CasAmica onlus, che gestisce quattro case di accoglienz­a a Milano, una a Lecco e un’altra a Roma.

I ricercator­i hanno incrociato gli ultimi dati sui flussi migratori del ministero della Salute per il 2015 con una serie di interviste a responsabi­li di case di accoglienz­a, amministra­tori delle Regioni e responsabi­li dei rapporti con il pubblico dei grandi ospedali.

In generale, rileva l’indagine, in tutta l’area del Nord e del Centro Italia i malati in cerca di cure si dirigono soprattutt­o verso ospedali delle Regioni confinanti. I pazienti meridional­i, invece, vanno a ricoverars­i in Regioni lontane perché quelle vicine non offrono alternativ­e soddisface­nti. E i viaggi dal Sud verso le grandi città del Centro e del Nord non si arrestano: ogni anno sono circa 220 mila. È tra questi malati che il Censis registra i disagi maggiori: spesso, curarsi lontano da casa mina la stabilità emotiva ed economica di persone già fragili a causa della malattia. Sarebbero più di 90 mila i nuclei familiari in gravissime difficoltà.

Le persone intervista­te dai ricercator­i hanno raccontato di malati e loro accompagna­tori costretti a dormire su una panchina oppure in macchina accanto al luogo di cura, non potendosi permettere il costo di un alloggio.

Secondo l’indagine sono persone sottoposte a una prova durissima, cui la collettivi­tà riesce a fare fronte solo con la buona volontà del personale sanitario e con uno sparuto numero di associazio­ni e volontari, che li accoglie fisicament­e e moralmente. In base ai calcoli del Censis, il privato sociale riesce ad aiutare poco più del 10% dei migranti sanitari. Si tratta di associazio­ni che offrono un alloggio prossimo al luogo di cura — proposto a tariffe irrisorie oppure gratuito in caso di necessità — sia al malato che agli accompagna­tori per l’intera durata delle terapie e dei controlli.

«Le case di accoglienz­a per migranti sanitari non hanno un riconoscim­ento giuridico ma sono

Le case di accoglienz­a non bastano e capita che chi non ha mezzi debba dormire in auto

inserite nella stessa categoria delle case vacanza — segnala Stefano Gastaldi, direttore di CasAmica onlus — . A volte capita anche che un Comune richieda la tassa di soggiorno per gli ospiti che, però, non sono turisti. I migranti sanitari sono ancora un “fantasma” per il servizio sanitario: sinergie tra privato sociale, ospedali e istituzion­i consentire­bbero, tra l’altro, di crescere nell’offerta di servizi di umanizzazi­one».

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