Migrano 750 mila italiani per curarsi in altre Regioni
Questa secondo il Censis la quota di connazionali che cercano una risposta ai propri bisogni sanitari lontano da casa, con disagi e costi notevoli
Ogni anno circa 750 mila italiani scelgono di farsi ricoverare in una Regione diversa dalla loro. Quando la scelta di migrare a chilometri di distanza è spinta dalla necessità, perché nella propria Regione non sono disponibili le cure di cui si ha bisogno o le liste di attesa sono troppo lunghe, il disagio tocca i limiti dell’umana sopportazione. È quanto rileva la ricerca «Migrare per curarsi, racconto di un fenomeno fantasma», realizzata dal Censis su incarico dell’associazione CasAmica onlus, che gestisce quattro case di accoglienza a Milano, una a Lecco e un’altra a Roma.
I ricercatori hanno incrociato gli ultimi dati sui flussi migratori del ministero della Salute per il 2015 con una serie di interviste a responsabili di case di accoglienza, amministratori delle Regioni e responsabili dei rapporti con il pubblico dei grandi ospedali.
In generale, rileva l’indagine, in tutta l’area del Nord e del Centro Italia i malati in cerca di cure si dirigono soprattutto verso ospedali delle Regioni confinanti. I pazienti meridionali, invece, vanno a ricoverarsi in Regioni lontane perché quelle vicine non offrono alternative soddisfacenti. E i viaggi dal Sud verso le grandi città del Centro e del Nord non si arrestano: ogni anno sono circa 220 mila. È tra questi malati che il Censis registra i disagi maggiori: spesso, curarsi lontano da casa mina la stabilità emotiva ed economica di persone già fragili a causa della malattia. Sarebbero più di 90 mila i nuclei familiari in gravissime difficoltà.
Le persone intervistate dai ricercatori hanno raccontato di malati e loro accompagnatori costretti a dormire su una panchina oppure in macchina accanto al luogo di cura, non potendosi permettere il costo di un alloggio.
Secondo l’indagine sono persone sottoposte a una prova durissima, cui la collettività riesce a fare fronte solo con la buona volontà del personale sanitario e con uno sparuto numero di associazioni e volontari, che li accoglie fisicamente e moralmente. In base ai calcoli del Censis, il privato sociale riesce ad aiutare poco più del 10% dei migranti sanitari. Si tratta di associazioni che offrono un alloggio prossimo al luogo di cura — proposto a tariffe irrisorie oppure gratuito in caso di necessità — sia al malato che agli accompagnatori per l’intera durata delle terapie e dei controlli.
«Le case di accoglienza per migranti sanitari non hanno un riconoscimento giuridico ma sono
Le case di accoglienza non bastano e capita che chi non ha mezzi debba dormire in auto
inserite nella stessa categoria delle case vacanza — segnala Stefano Gastaldi, direttore di CasAmica onlus — . A volte capita anche che un Comune richieda la tassa di soggiorno per gli ospiti che, però, non sono turisti. I migranti sanitari sono ancora un “fantasma” per il servizio sanitario: sinergie tra privato sociale, ospedali e istituzioni consentirebbero, tra l’altro, di crescere nell’offerta di servizi di umanizzazione».