CONCERTO PER PENNELLO
LE NOTE DI MONTEVERDI E I PUTTI DEL MERISI QUANDO LA MUSICA DIVENNE RIVOLUZIONE
A Cremona i 450 anni dalla nascita del compositore sono celebrati con un festival e con due mostre. Una di queste traccia un parallelo con un dipinto di Caravaggio. Entrambi incarnarono una cultura progressista
Nel 1590 il cremonese Claudio Monteverdi, enfant prodige già autore a 15 anni di una raccolta di Sacrae canticulae, entrava a far parte dell’orchestra di Vincenzo Gonzaga. Il duca di Mantova dominava su un territorio di piccole dimensioni, ma aveva ambizioni da re. Nonostante fosse sempre a corto di denaro, non si faceva mancare nessuno di quei segni di lusso che le grandi corti utilizzavano per accreditare il potere. Possedeva preziose opere d’arte ed era soprattutto uno splendido dissipatore di ricchezze, dedito al gioco d’azzardo e a quello della guerra, alle avventure galanti, alle cacce e ai banchetti. In battaglia andava vestito con abiti tempestati di gemme, accompagnato da buffoni e musici guidati da Claudio Monteverdi. La sua corte contava 700 bocche, comprese quelle di un poeta, Torquato Tasso, e di un pittore, Rubens, che gli faceva anche da ambasciatore e che gli mise a segno il suo più prestigioso affare artistico: l’acquisto de La morte della Vergine di Caravaggio.
Costui viveva all’epoca nella Roma di Clemente VIII, al secolo Ippolito Aldobrandini, che per celebrare la sua elezione al soglio pontificio nel 1592, appiccò il primo della trentina di roghi che avrebbero contrassegnato il suo pontificato. A inaugurarli fu il corpo di un carrettiere accusato di omosessualità, il «vizio indicibile» che il neo eletto papa si impegnava a debellare assieme alla prostituzione, al gioco delle carte, dei dadi, ai duelli e al porto d’armi. Ma nonostante l’impegno purificatore, a Roma come a Mantova sesso e rock’n’roll riuscirono comunque a prosperare, soprattutto nelle case degli alti prelati.
L’importante era la discrezione. Qualità posseduta in sommo grado dal cardinale Francesco Maria Bourbon del Monte. Fu questo raffinato omosessuale, controllatissimo all’esterno, a cambiare la vita del giovane Caravaggio che a Roma faceva la fame da cinque anni. Gli comprò il quadro de I bari e portò anche il pittore a vivere nel suo palazzo Madama. Quell’immagine diventò subito richiestissima, replicata e copiata così tanto che ancora oggi ne restano almeno una cinquantina di versioni. Eppure, Caravaggio stimava fosse un altro «il più bel pezzo che facesse mai». Si riferiva al Suonatore di liuto, dipinto dopo Il concerto di giovani, la prima delle allegorie musicali/omosessuali commissionategli dal cardinale che era «musico eccellente» e di sé scriveva ad un amico «Io suono di chitarriglia et canto alla spagnuola».
Anche il Suonatore di liuto divenne di moda e una versione gli fu commissionata dal vicino di casa di Del Monte, Vincenzo Giustiniani, banchiere ricchissimo e teorico musicista. Nelle varianti eseguite per il Del Monte, il musico appare più effemminato tanto che si è pensato ad un ritratto di Pedro Montoya, uno dei castrati reclutati in Spagna per il coro della cappella Sistina di cui il cardinale era protettore. Le assenze registrate in quel periodo corroborano l’ipotesi che il ragazzino si recasse a palazzo Madama per mettersi in posa per il Caravaggio e cantare nei concerti privati. Fra gli ospiti si poteva incontrare anche un altro personaggio: tale Galileo Galilei che il Del Monte proteggeva non solo da appassionato di fisica e matematica, ma anche da estimatore del padre, Vincenzo Galilei. Costui aveva scritto un trattato contro le «cantilene» contrappuntistiche e auspicato la scrittura di musica «semplice e naturale» per cantante solista e strumento. Come avviene proprio nel quadro di Caravaggio dove il musico, con la bocca socchiusa, sta cantando un madrigale: «Voi sapete ch’io v’amo, anzi v’adoro» e sotto lo spartito aperto ne appare un altro con scritto «Basso». Ebbene, nel suo Discorso sopra la musica, Vincenzo Giustiniani raccontava che «L’anno santo del 1575 o poco dopo si cominciò un modo di cantare molto diverso da quello di prima… massime nel modo di cantare con una voce sola sopra un istrumento». La stessa opinione del riformatore Monteverdi per il quale il canto doveva essere un perfetto connubio fra parola e musica e i cui madrigali introducevano l’accompagnamento del basso continuo. Una posizione progressista che gli era valsa l’invidia di Giovanni Artusi, autore dell’acrimonioso pamphlet «L’Artusi overo delle imperfettioni della moderna musica».
Nell’epoca, dunque, in cui da Mantova a Roma stava nascendo un inedito e controverso linguaggio musicale, il Suonatore di liuto diventava l’icona sexy della nuova musica, come la scandalosa copertina di Warhol per il disco dei Rolling Stones.