Il vicino di casa e il fratellastro sotto accusa per il massacro
Nascosti a Roma, temevano ritorsioni. Altri 5 indagati, uno latitante
Primi arresti per il brutale assassinio di Emanuele Morganti ad Alatri. A finire in carcere il vicino di casa e il suo fratellastro: Mario Castagnacci e Paolo Palmisani, di 27 e 24 anni. I due, accusati di omicidio volontario aggravato dai futili motivi, sono stati trovati a casa di una cugina a Boccea, alla periferia di Roma. Si nascondevano più che dai carabinieri dalla furia di chi ora vuole vendicare Emanuele. Il pm Stefano Rocco Fava li ritiene responsabili di «una violenza feroce». Ma chi indaga ammette che «per scoprire il vero movente del delitto ci vorrà tempo».
Li hanno scovati a casa di una cugina a Boccea, alla periferia di Roma. Si nascondevano più che dai carabinieri dalla furia di chi ora vuole vendicare Emanuele. Mario Castagnacci e Paolo Palmisani, 27 e 24 anni, fratellastri, sono i primi due a finire in carcere per la sua morte. L’accusa per loro è di omicidio volontario. Sono rinchiusi a Regina Coeli in attesa dell’udienza di convalida, con il pm romano Stefano Rocco Fava che li ritiene responsabili «di una violenza feroce», sottolineando come la loro pericolosità sia «rilevantissima e dimostrata dal comportamento gravissimo,
Rocco Fava pm
sproporzionato al banale litigio che ha originato gli eventi e nel quale, per di più, non erano stati coinvolti». Inoltre, se lasciati liberi, «possono cercare di influire sulla genuinità delle dichiarazioni che verranno rese da chi è a conoscenza dei fatti».
Sì, perché come ha sottolineato ieri il procuratore capo di Frosinone Giuseppe De Falco, racconti contraddittori e omertà sono le caratteristiche di questa vicenda, nella quale adesso irrompe anche la guerra fra clan: minacce e avvertimenti ai parenti degli arrestati e ai cinque indagati per ora solo per rissa — uno, figlio di un boss di Frosinone, assistito dall’avvocato Giampiero Vellucci, è tuttora latitante —, con auto incendiate, insulti in piazza al padre di Castagnacci (indagato anche lui), spedizioni negli studi legali. La famiglia Palmisani è fuggita.
Su Facebook, sui profili aperti in memoria di Emanuele Morganti, spuntano frasi come «Impiccateli in piazza», «Non c’è solo la giustizia dei tribunali, ce n’è anche un’altra». In questo clima incandescente, ieri sera a Tecchiena Castello, la comitiva del ragazzo ucciso ha organizzato una fiaccolata dal bar dell’amico Gianmarco Ceccani, fino alla chiesa della frazione di Alatri. Chi indaga ammette che «per scoprire il vero movente del delitto ci vorrà tempo», ma dai
verbali dei testimoni, che la Procura di Frosinone ha inviato a quella romana, emerge che Emanuele, portato di peso fuori dalla discoteca da quattro buttafuori (Manuel Capoc- cetta, Michael Ciotoli, Damiano Bruno e l’albanese Xhemal Pjetri), che potrebbero aver avuto un ruolo nel pestaggio, avrebbe perso i sensi dopo aver sbattuto la testa sul montante posteriore di un’auto parcheggiata fuori dal Mirò, una Skoda blu, dopo essere stato aggredito almeno tre volte, con un manganello con la scritta «Boia chi molla» e una chiave per sbullonare le ruote.
Colpito a più riprese Tre aggressioni con manganello e chiave, poi i pugni alla testa e la botta contro un’auto Un atto di violenza feroce: sono pericolosi e potrebbero intimidire i testimoni
A sferrare il pugno letale alla testa di Emanuele sarebbe stato Castagnacci, ma anche Palmisani aveva dato cazzotti al ragazzo che, prima di cadere, avrebbe cercato di difendersi. Sarà l’autopsia, svolta nella tarda serata di ieri a Roma, ad accertare quali lesioni abbiano provocato la morte. Poi potrebbero scattare altri arresti.