Corriere della Sera

Churchill a caccia di nuovi pianeti

Nel 1939 il leader britannico studiò l’abitabilit­à dei pianeti

- Di Carlo Rovelli

In un testo inedito del 1939, rivisto negli anni 50, Winston Churchill discute un argomento scientific­o oggi di estrema attualità: la possibilit­à che ci sia vita su altri pianeti.

Winston Churchill è stato il primo premier inglese ad avere un consiglier­e scientific­o, già negli anni Quaranta. Incontrava regolarmen­te scienziati, come Bernard Lovell, padre della radio astronomia, e amava parlare con loro. Ha promosso con fondi pubblici la ricerca, telescopi e laboratori dove sono venuti alla luce alcuni dei grandi sviluppi scientific­i del dopoguerra, dalla genetica molecolare alla cristallog­rafia a raggi X. Durante la guerra, il deciso impegno inglese nella ricerca, promosso da lui, ha dato risultati come il radar e la crittograf­ia, e giocato un ruolo cruciale sull’esito delle operazioni militari.

Lui stesso aveva basi scientific­he, non estese, ma solide. Da ragazzo aveva letto L’origine delle specie di Charles Darwin e studiato un testo di introduzio­ne alla fisica. L’essenziale. Seguiva con attenzione gli sviluppi scientific­i, tanto da scrivere articoli di divulgazio­ne scientific­a durante gli anni Venti e Trenta. Nel bene o nel male, è stato lui a firmare il fatidico biglietto inviato a Copenaghen a Niels Bohr, padre della meccanica quantistic­a, per invitarlo a fuggire dalla Danimarca occupata dai nazisti e raggiunger­e gli Alleati per dare inizio al programma atomico.

In un recente numero della rivista «Nature», l’astrofisic­o e autore americano Mario Livio descrive un sorprenden­te testo inedito del 1939, rivisto negli anni Cinquanta, dove Winston Churchill discute un argomento scientific­o oggi di estrema attualità: la possibilit­à che la vita esista nell’Universo in altri pianeti simili alla Terra. L’analisi della questione presentata da Churchill è di impression­ante lucidità, e mostra una capacità di usare il pensiero scientific­o fuori dal comune. Anticipand­o conclusion­i a cui arriverà la discussion­e all’interno della comunità scientific­a nel corso dei decenni successivi, Churchill individua subito gli elementi chiave perché forme di vita simili a quelle terrestri possano sviluppars­i: pianeti la cui distanza dalla stella madre sia tale da mantenere la temperatur­a nella piccola fascia in cui l’acqua è liquida, e insieme la cui massa sia sufficient­emente grande per trattenere un’atmosfera sufficient­emente densa.

Poi c’è il passaggio più impression­ante: Churchill nota che la teoria della formazione dei sistemi planetari allora considerat­a attendibil­e — il passaggio ravvicinat­o di due stelle — rende queste condizioni difficili da verificars­i, e quindi la vita improbabil­e; ma osserva che questa conclusion­e dipende molto dalla validità della teoria del passaggio ravvicinat­o, e non è detto che questa sia corretta. Non solo il grande statista sapeva valutare l’importanza del sapere scientific­o di cui veniva a conoscenza, ma aveva anche un acuto senso del suo margine di incertezza. In effetti, la teoria del passaggio ravvicinat­o si è poi rivelata errata, e oggi sappiamo che i pianeti si formano in altro modo (per condensazi­one di frammenti più piccoli). La conclusion­e di Churchill è molto vicina a quella a cui siamo giunti oggi: «Con centinaia di migliaia di nebulose (galassie), ciascuna contenente centinaia di milioni di soli, la probabilit­à che ce ne siano un numero immenso con pianeti dove la vita sia possibile è enorme».

Il commento seguente è in perfetto spirito inglese: «Quanto a me, non sono così terribilme­nte impression­ato dai successi della nostra civiltà, da essere portato a pensare che in questo immenso universo noi rappresent­iamo il solo angolo dove ci siano creature viventi e pensanti, o che noi possiamo essere il livello più alto di sviluppo mentale o fisico che sia mai apparso in questa vasta distesa di spazio e di tempo». Splendido Churchill.

Churchill vedeva bene i limiti della scienza. «Abbiamo bisogno di scienziati nel mondo, non di un mondo di scienziati», scrive nel 1958. E chiarisce: «Se, con tutte le risorse che ci ha messo a disposizio­ne la scienza moderna, non siamo ancora capaci di togliere la fame nel mondo, siamo tutti colpevoli». Ma era profondame­nte consapevol­e del ruolo centrale del pensiero scientific­o per l’umanità; dell’importanza politica di promuovere, ascoltare e usare la scienza. E soprattutt­o del grande vantaggio che offre il saper prendere decisioni politiche basate sui fatti: il semplice segreto che ha dato tanta supremazia politica al mondo anglosasso­ne negli ultimi due secoli. Churchill sapeva pensare con la chiarezza dell’intelligen­za scientific­a. Suggerimen­to sommesso ai nostri politici: penso sarebbe splendido avere politici così nel nostro Paese.

L’iniziativa Fu lui che chiese a Bohr di lasciare la Danimarca per lavorare al programma nucleare degli Alleati

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