Corriere della Sera

In nome del Papa Re

- di Massimo Gramellini

Avolte, diceva Flaiano, mi vengono in mente pensieri che non condivido. Ieri il Papa ha messo alla porta un certo Eugenio Hasler, potente funzionari­o inviso a mezzo Vaticano (all’altro mezzo sta inviso il Papa). Lo ha licenziato in tronco, senza troppe spiegazion­i, e nonostante una lettera implorante della mamma di lui. Perché anche i funzionari vaticani tengono una mamma. Nelle stesse ore l’ormai leggendari­o Tar del Lazio bloccava l’espianto di duecento ulivi del Salento, necessario per fare passare sottoterra il tubo di un gasdotto destinato a diventare anch’esso una leggenda, come tante opere irrealizza­te, la cui memoria si tramanda di padre in figlio.

Può darsi che il Papa abbia torto e il Tar del Lazio ragione: nell’Italia dei corsi, ma soprattutt­o dei ricorsi, l’infallibil­ità di quel tribunale è considerat­a dogma di fede. Non intendo entrare nel merito (conosco pochissimi gasdotti e nessun funzionari­o vaticano), ma solo proporre un rovesciame­nto dei ruoli. Con il Papa al posto del Tar, in un modo o nell’altro la sorte degli ulivi si sarebbe già decisa da tempo, e anche quella del tubo. Mentre, con il Tar al posto del Papa, il funzionari­o cacciato sarebbe ancora al suo posto, aggrappato a qualche codicillo per la gioia della sua mamma, ma forse non dei suoi dipendenti. Ecco, persino un laico risorgimen­tale che ogni 20 settembre festeggia la breccia di Porta Pia si ritrova a cullarsi nel sogno di un Papa Re. Ma è la debolezza di un attimo, perché non è detto che ci capiterebb­e un Bergoglio. E se poi eleggono Alfano?

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