Draghi e la stretta che può attendere
Mario Draghi continua a dare il passo all’Europa e segnatamente ai Paesi dell’eurozona, che condividono la moneta unica. Lo ha fatto ancora ieri con le parole di chi ha chiaro che bisogna ostacolare le tendenze alla disgregazione.
Spinte rese evidenti dal referendum sulla Brexit. Con nettezza Draghi ha affermato che non è ancora il momento di smantellare gli stimoli economici, il «Quantitative easing». Perché, anche se la ripresa accelera, i rischi sulla crescita non sono diminuiti. Il passo delle diverse economie in Europa non è lo stesso. Stabilizzare la tendenza allo sviluppo, guardando al complesso dei Paesi e non all’interesse singolare, è l’obiettivo. Tanto che, quello che ieri è apparso come un botta e risposta tra Draghi e Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, è in realtà altro. L’esemplificazione di come Weidmann sia orientato a salvaguardare gli interessi tedeschi, dal suo punto di vista persino correttamente, quando dice che la ripresa c’è e quindi «è legittimo discutere di quando il consiglio direttivo — della Bce — debba normalizzare la politica monetaria e come possa modificare la propria comunicazione». Ma la Germania non è l’Europa. E in quel «è legittimo» c’è il riconoscimento della differenza di ruolo tra i due banchieri. Draghi indica la direzione scelta da tutta la Bce. Come fece quel 26 luglio del 2012 con il «whatever it takes» che convinse istantaneamente la speculazione che poteva rimandare il sogno di guadagnare grazie alla rottura dell’euro e che si sarebbe fatto qualsiasi cosa per difendere la moneta unica. E quando il presidente della Bce sottolinea che finché i salari non aumenteranno, i livelli di inflazione non saranno sostenibili, sta dicendo una cosa diversa dall’«aumentare le remunerazioni», com’è stato interpretato in Italia un po’ frettolosamente. Quasi a dimenticare che la Bce, pur avendo fatto ben più delle altre istituzioni europee per strutturare la casa comune, non ha né gli strumenti né può decidere quello che solo i governi e Paesi hanno il potere di stabilire. Vale a dire politiche di bilancio e riforme che aumentino competitività, sostenibilità dei conti pubblici, orientate alla crescita.
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