L’avvocato siciliano cresciuto a pane e Dc: io offeso, roba da Urss
Torrisi: se lascio in gioco c’è l’intera commissione
«Sono profondamente offeso, molto amareggiato per i rapporti personali».
Il suo leader Angelino Alfano ha detto «Salvatore Torrisi è fuori da Ap, amen». Tra lei e il ministro degli Esteri è finita, presidente?
«L’amen non lo commento nemmeno, io sono una persona educata e ognuno si assume le responsabilità delle proprie azioni. Sono preoccupato per lui, non so perché Alfano dica cose del genere, che non esistevano nemmeno con il Partito comunista sovietico».
Vi siete sentiti al telefono?
«Non ci siamo sentiti, no». Sono le cinque del pomeriggio, il neo-presidente della commissione di Palazzo Madama che dovrà decidere i destini della legge elettorale è a bordo di un aereo e sta per decollare. In attesa dell’atterraggio, c’è tutto il tempo per leggersi la sua biografia. Nato a Catania nel 1957, Torrisi è stato allevato a latte e politica dal padre Antonio, pezzo grosso della Dc siciliana. Salvatore diventa avvocato, fa carriera sul territorio e, nel 2008, entra alla Camera con il Pdl. Tra i suoi fiori all’occhiello vanta l’essere stato relatore della legge sul piano straordinario contro le mafie e della riforma del condominio. Senatore dal febbraio del 2013, tra i colleghi siciliani ha fama di stacanovista quanto a presenze in Aula. Da due giorni è assiso sullo scranno rovente di presidente della prima commissione.
Ora che Alfano l’ha buttata fuori dal partito, lascerà anche il gruppo parlamentare di Ap al Senato?
«Io non sono fuori dal partito, con Alfano ci siamo presi qualche ora di riflessione ad ampio spettro, perché c’è un problema oggettivo da risolvere. Mica vorranno mandare in blocco la commissione, vero?».
Quindi non lascerà il gruppo, senatore?
«Non ci penso proprio, tutti i colleghi mi hanno espresso solidarietà. Per adesso resto qui, non me ne vado».
Per Alfano lei non rappresenta Ap alla presidenza della commissione Affari costituzionali. Chi rappresenta allora, i proporzionalisti? Il fronte del No che vuole buttare giù Renzi?
«Questa lettura è una distorsione
dei fatti. Non sono stato io a costruire la mia elezione e non è stato un voto contro qualcuno. L’anomalia è che il Pd aveva delle difficoltà a sostituire Anna Finocchiaro e c’è stata una convergenza su di me. Da settimane ero presidente facente funzioni e i colleghi avevano apprezzato il mio lavoro».
Il Pd non sembra apprezzare granché...
«Anche il Pd sembrava d’accordo a confermare la mia presidenza, poi non so cosa è successo».
Lei è il nuovo Riccardo Villari? Il senatore, che allora militava nel Partito democratico, si abbarbicò alla poltrona della Vigilanza Rai e fu espulso dal Pd.
«Macché, io non mi abbarbico e non mi riconosco nell’immagine del nuovo Villari. Il caso Torrisi non esiste. Appena il Pd trova una soluzione, io mi metto da parte».
Che tipo di soluzione immagina?
«Una maggioranza in grado di esprimere un altro presidente».
Visto che la presidenza spettava al Pd perché il passo indietro non lo fa subito, come Alfano le ha chiesto?
«È una richiesta inconcepibile e irrituale. La commissione deve continuare a funzionare. E penso che, invece di
polemizzare, andrebbe valorizzato il percorso tutto parlamentare fatto dalla commissione».
Se lei si arrocca e viene giù il governo?
«Non scherziamo, riderebbe tutta l’Italia. Io non posso lasciare se non trovano una soluzione, non ci può essere una vacatio in commissione».
Chi sono i registi del ribaltone? Schifani? Calderoli? Anna Maria Bernini?
«Non c’entrano nulla, nulla. La mia elezione è una cosa tutta interna alla prima commissione».
Il «nuovo Villari»
«Macché nuovo Villari, non sono abbarbicato alla poltrona come fece lui in Vigilanza Rai»
Lei giura che non si incatenerà alla poltrona, eppure fa capire che le dispiacerebbe lasciarla. Non è così?
«Le cariche istituzionali non sono personali, servono a portare avanti un lavoro politico. Se sono incompatibile e destabilizzo...».
Non le sembra di aver destabilizzato la maggioranza?
«Devono dirlo gli altri, non io».