ENTRARE NEL CORPO UMANO LA NUOVA SFIDA DI INTERNET
Futuro Lo sviluppo della Rete ha attraversato più fasi. In quest’ultima la previsione è di agire all’interno degli esseri viventi a scopo di cura e prevenzione delle malattie
Fu un film di fantascienza del 1966 ad anticipare quella che sembra poter essere la nuova frontiera di Internet. In quel film, nato da uno script di Isaac Asimov, cinque astronauti vengono miniaturizzati per navigare nel corpo di uno scienziato fino a raggiungere il cervello dal quale rimuovere un embolo mortale. Per coincidenza, in quello stesso anno, nell’ambito di un progetto finanziato dal Pentagono, nasce la prima rete che utilizza il protocollo di trasmissione di Internet e, cinquanta anni dopo, proprio Internet può realizzare, in maniera diversa, il sogno dei viaggi fantastici di un’umanità che si preparava alla Luna.
Internet of the Beings (Iob) è la terza fase della vita della Rete. Quella più affascinante e pericolosa. Un balzo avanti sconvolgente anche rispetto a trasformazioni che stanno rendendo obsoleti i nostri processi cognitivi.
La Rete ha, infatti, prima collegato tra di loro tutti gli oggetti digitali nati per elaborare informazioni: i computer e i telefoni sono oggi i terminali di un unico organismo in grado di contenere, scambiare e processare una quantità di informazione che facciamo persino fatica a immaginare: 9.000 Exabyte, 450 volte più informazione di quella contenuta da tutti i testi, i video e gli audio prodotti dall’uomo nella storia.
Nella seconda fase, la Rete sta invece connettendo tra di essi gli oggetti fisici (Internet of the Things) per estrarne informazioni utili: dai frigoriferi che riordinano ciò che sta per finire (in maniera da minimizzare gli spostamenti e gli sprechi) alle automobili che cominciano a spostarsi da sole. Ma nella terza, ancora più fantastica e terribile evoluzione, la Rete entrerà direttamente nei corpi degli esseri viventi ed è questa la tesi della ricerca alla quale sto partecipando all’Università di Oxford. La prospettiva è concreta ed è priorità strategica per imprese diverse quanto lo possono essere Google e Johnson & Johnson, bucando quelli che erano i confini di un settore produttivo che era territorio delle aziende farmaceutiche. Sono strumenti che possono essere meno invasivi — come i collari che seguono gli spostamenti di animali a rischio di estinzione — o di più — come i pacemaker; potranno avere una funzione di pura sorveglianza (mandando un allarme al pronto soccorso
quando rilevano valori al di là di una certa soglia) o di intervento (sono collegati, ad esempio, ad un anticoagulante a cui ordinano di sciogliersi per evitare un infarto). Ma soprattutto questi sensori potrebbero rilevare con grande precisione la reazione — sempre diversa — di ciascun paziente ad un dato farmaco che assuma normalmente: in maniera da poter trasformare ciascun organismo nel terminale di un laboratorio vivente capace di tagliare i tempi di sviluppo di nuovi trattamenti di centinaia di volte e di sconfiggere definitivamente le malattie con le quali la ricerca combatte da decenni senza più miracoli.
Stiamo andando verso una convergenza tra informatica, fisica e biologia, che apre prospettive rivoluzionarie che stanno già modificando profondamente gli equilibri in grandi settori industriali (e
a cura di Monica Sargentini non sono piccole le possibilità per l’Italia che a Milano e Bologna vede una concentrazione di talento imprenditoriale e scientifico, piccola ma promettente) e le equazioni del welfare da cui dipende l’equilibrio precario delle società occidentali.
Grandi, ad esempio, sono le possibilità che Iob apre per sistemi sanitari che, semplicemente, sono portati alla bancarotta dall’aumento inesorabile del numero di persone anziane ed affette da patologie croniche. Tuttavia è enorme anche la sfida, perché l’idea stessa di spostare un pezzo dell’ospedale, del medico generico e dello stesso laboratorio, nel corpo umano significa ripensare totalmente l’architettura di sistemi sanitari immaginati per un mondo unito solo dal telegrafo. Ma non inferiori sono i rischi che evoluzioni di questo genere aprono, con la possibilità (immaginata solo nei film come Blade Runner) di esporre le persone al sabotaggio di un hacker o, magari, di trasformarle in robot saltando molti dei passaggi difficili che aspettano lo sviluppo della già controversa intelligenza artificiale.
Problemi etici e di possibile perdita di controllo su un progresso che noi stessi abbiamo innescato e che, negli anni Sessanta, faceva sognare tutti. Ma soprattutto un buco nero intellettuale, di strategia e di politica. Perché ad altre rivoluzioni industriali corrisposero grandi riflessioni di chi — Marx, Ricardo, più tardi Keynes e Beveridge — cercò di sviluppare una teoria e contribuì a piegare il demone della tecnica al servizio dell’uomo. Prima ancora di decidere se queste prospettive ci affascinano o ci inorridiscono, dovremmo cominciare a studiarle: perché dalla nostra capacità di lettura e di governo dipende il futuro di tutti.