«Subito la legge elettorale»
Il capo dello Stato sollecita anche la nomina del giudice mancante della Corte costituzionale
Spinta di Mattarella. Renzi-Orlando-Emiliano: sfida in tv sulle larghe intese
Il richiamo del presidente Sergio Mattarella alle Camere: «Legge elettorale, subito». Niente ritorno alle urne se prima non sarà cambiato il sistema di voto. Mattarella sollecita anche la nomina del giudice mancante della Consulta. Faccia a faccia in tv intanto tra Renzi, Orlando ed Emiliano sulle larghe intese.
Ancora pochi giorni fa lo staff del Quirinale evocava la «vacatio» in corso, per spiegare che lassù si sarebbe taciuto sulla legge elettorale almeno fino alla chiusura delle primarie del Pd, domenica. Ma ieri, a sorpresa, il capo dello Stato si è fatto sentire con un appello che, nella sua laconicità, ha il peso di una censura. Una messa in mora dell’intera classe politica per non farsi mettere sotto pressione e per stoppare una certa voglia di mandare a casa il governo Gentiloni e far aprire le urne il prima possibile che è serpeggiata in questi mesi (specialmente da parte di un Matteo Renzi ansioso di tornare sulla scena) e che da lunedì tornerà a dominare il dibattito pubblico.
Ecco la più verosimile ipotesi sul senso della mossa di Sergio Mattarella. Il suo penultimo avviso — l’ultimo potrebbe avere la solennità di un severo messaggio alle Camere, indicato da fonti parlamentari come probabile in caso di ulteriori inerzie — maturato su un sottinteso preciso. Questo: nessuna agenda politico istituzionale potrà contemplare il ritorno al voto se prima non sarà stato cambiato il sistema attraverso il quale dare la parola al popolo.
Il presidente della Repubblica ha voluto ricordarlo a tutti «con un atto forte ma rispettoso delle prerogative del Parlamento». Convocando in udienza Piero Grasso e Laura Boldrini e affidando loro il compito di rappresentare a senatori e deputati «l’urgenza di provvedere sollecitamente al compimento di due importanti adempimenti istituzionali: la nuova normativa elettorale per Camera e Senato e l’elezione di un giudice della Corte costituzionale».
Per il secondo punto il nodo pare già quasi sciolto, con la convocazione di un voto in seduta comune il 4 e 5 maggio. Mentre sulla legge elettorale si naviga ancora nella nebbia. A nulla è valsa la moral suasion del capo dello Stato che, per inciso, ha visto lesionato il suo potere di sciogliere le Camere (a volte la strada maestra per chiudere una crisi) proprio a causa della coesistenza di due meccanismi di voto diversi e incompatibili tra loro. Una stortura che, se non fosse corretta con una «armonizzazione» coerente, come suggerito anche dalla sentenza della Corte costituzionale, potrebbe portare addirittura al paradosso di avere due vincitori differenti nei due rami del Parlamento. Con ambigue prospettive d’ingovernabilità tali da assillare il capo dello Stato. Il quale, tra gli altri avvertimenti da lui lanciati negli ultimi tempi, ha fatto sapere di non rassegnarsi neppure all’idea di ritocchi minimalisti, tecnici, da varare magari per decreto (anziché attraverso l’appropriata formula del disegno di legge), come vagheggiato da qualcuno.
Un quadro carico di contraddizioni, congelato dal congresso del partito democratico. Ora che la partita sta per chiudersi, Boldrini, che ha «pienamente condiviso la sollecitazione del Quirinale», si è attivata affinché la Conferenza dei capigruppo di Montecitorio calendarizzi l’arrivo del provvedimento in aula entro fine maggio. Dopo quattro mesi di torpido confronto su Mattarellum, Italicum, Consultellum e Legalicum, si vedrà di quale sintesi sarà capace una classe politica che finora sembrava darsi per vinta.
Sarà bene che la soluzione non sia un compromesso al ribasso ma garantisca risultati efficaci di governabilità, ha ripetuto a tanti suoi interlocutori Mattarella. A preoccuparlo c’è anche il fatto che l’Italia negli ultimi tempi è vigilata da arcigni osservatori: i nostri partner nell’Unione Europea, sempre diffidenti sulla nostra stabilità politica, e le agenzie internazionali di rating, che forse non a caso hanno di nuovo abbassato l’indice di credibilità del Paese.