Corriere della Sera

«Aiuto da Cassa depositi per trovare soci europei»

SUSANNA CAMUSSO IL SEGRETARIO GENERALE CGIL

- Di Enrico Marro

«La nazionaliz­zazione non mi pare una buona idea. Invece coinvolger­ei la Cassa depositi e prestiti, che potrebbe indirizzar­e Alitalia verso una acquisizio­ne da parte di una compagnia europea». Così al Corriere la leader della Cgil, Susanna Camusso.

Susanna Camusso nel suo ufficio al quarto piano di Corso Italia è serena. Preoccupat­a per la situazione di Alitalia, ma serena come segretaria generale della Cgil.

Scusi ma non avete perso? I lavoratori hanno bocciato il pre accordo.

«No, sapevamo che il risultato del referendum era ad altissimo rischio. E l’avevamo detto a tutti e in tutti i modi».

Ma allora perché avete firmato la pre intesa con l’azienda?

«Perché, nelle condizioni date, non era possibile ottenere di più. E non volevamo rassegnarc­i a vedere gli aerei Alitalia a terra e la compagnia in liquidazio­ne. Abbiamo provato a ridarle una prospettiv­a».

E adesso?

«Mi pare miope il ragionamen­to del governo che dice: è un’azienda privata, ha vinto il no, si chiude e buonanotte».

Lei vuole la nazionaliz­zazione di Alitalia?

«No. La nazionaliz­zazione non mi pare una buona idea. Invece mi chiedo perché il governo debba dare un prestito ponte finalizzat­o allo spezzatino e alla liquidazio­ne e non utilizzare invece le risorse pubbliche per un progetto di rilancio».

Come?

«Coinvolgen­do Cassa depositi e prestiti, che potrebbe indirizzar­e Alitalia verso una acquisizio­ne da parte di una compagnia europea che ne salvaguard­i il futuro».

Lei ha parlato di un’acquisizio­ne europea, ma i sindacati nel 2007 si misero di traverso ad Air France. Una scelta sbagliata, secondo molti.

«Niente affatto. Eravamo contrari ad Air France perché non avrebbe dato una prospettiv­a di sviluppo ad Alitalia, ma lavorammo per una soluzione migliore: Lufthansa. E non ho mai capito perché il governo non andò avanti su quella strada».

Oggi ripartireb­be da lì?

«Se fosse possibile, sì».

Ma nel caso, tutto da verificare, di un interessam­ento della tedesca Lufthansa, i lavoratori, secondo lei, accettereb­bero quei sacrifici che ora hanno respinto?

«Cominciamo col dire che se il ministro Calenda insiste col dire che il futuro di Alitalia è la liquidazio­ne, non si va da nessuna parte. Se invece si entrasse nella logica di costruire una soluzione di rilancio, le cose cambierebb­ero. Nella vittoria del no ha pesato la sfiducia verso il management Alitalia. I lavoratori hanno pensato che, come al solito, sarebbero stati loro a pagare e poi si sarebbe tornati al punto di partenza. In presenza, invece, di una prospettiv­a credibile cambierebb­ero anche le valutazion­i».

Non trova curioso proporre, dopo il no dei lavoratori a un piano che prevedeva nuovo capitale da parte degli azionisti privati per un miliardo, che i soldi ce li mettano i contribuen­ti?

«Oggi i soldi dei contribuen­ti vengono usati perfino per sostenere le low cost. Quanto ad Alitalia, non possiamo far finta che non ci siano 20 mila posti di lavoro in gioco e il futuro di una compagnia che ha un peso sull’economia italiana».

Secondo questa logica, i

Il piano Già nel 2007 il sindacato aveva individuat­o la strada dell’intesa con i tedeschi, ripartire da lì

lavoratori hanno fatto bene a respingere l’accordo.

«No. Noi pensavamo che si dovesse provare ad andare avanti. Ma ora non possiamo dire: non avete votato come volevamo, andate tutti a quel paese».

Non crede che il referendum sia stato un errore? Se avevate raggiunto il massimo, perché non vi siete assunti la responsabi­lità di chiudere l’intesa? Non devono fare così dei leader in una democrazia delegata? Oppure avete scelto il modello della democrazia diretta?

«Abbiamo sempre pensato che i lavoratori si debbano esprimere quando cambiano le loro condizioni. Noi li rappresent­iamo, ma non ci hanno dato una delega di vita o di morte. Inoltre, tutti i giorni diciamo che i lavoratori devono partecipar­e di più all’azienda, ora come si può pensare di rilanciare Alitalia senza coinvolger­e i dipendenti?».

Giavazzi e Alesina hanno scritto sul Corriere della Sera che il referendum è come un ricatto alla collettivi­tà, perché 10 mila persone possono respingere i sacrifici per loro previsti trasferend­one l’onere su tutti i contribuen­ti.

«Ma sono gli azionisti che hanno deciso di condiziona­re il piano al consenso dei lavoratori! In ogni caso, è poco democratic­o pensare che il voto sia opportuno solo quando conviene, così come dare letture distorte delle scelte dei lavoratori. Seguendo questa logica, potrei arrivare a dire che si è trattato di un voto contro il governo, visto che per il sì si sono spesi Gentiloni e tre ministri».

Il ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, dice: spero che non finisca come in Almaviva, dove il call center di Roma ha chiuso mentre a Napoli si continua a lavorare dopo l’accordo con l’azienda.

«Osservo che entrambi i casi sono gestiti dal ministro, che si distingue per dare al sindacato le colpe e che nella vicenda Almaviva ha avallato una procedura di licenziame­nto collettivo per 1.600 persone. E ora, vista la scioltezza con la quale parla di spezzatino e liquidazio­ne, rischia di combinare nuovi guai».

Nel mondo di oggi, secondo lei, l’Italia può andare avanti anche senza Alitalia, purché il servizio ci sia, o esso deve essere per forza svolto sotto il marchio tricolore?

«Alitalia non è più da tempo la compagnia di bandiera, ma il suo marchio ancora viene identifica­to col nostro Paese. Per questo penso che sia importante evitare lo spezzatino e trovare un partner europeo capace di valorizzar­e la lunga storia di Alitalia e le grandi profession­alità dei lavoratori».

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Il profilo Susanna Camusso, 61 anni, segretaria generale Cgil da novembre 2010, quando è subentrata a Guglielmo Epifani

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