Primarie, sfida su larghe intese e patrimoniale E Renzi divide: chi vince corre da premier
L’ex premier non chiude a un asse con FI. Orlando ed Emiliano lo bocciano (e lanciano la tassa)
L’appello finale riecheggia Nanni Moretti: «Dica qualcosa di sinistra». Matteo Renzi scandisce per quattro volte il pronome «noi», Michele Emiliano cita Falcone e Borsellino e strappa l’ultima risata: «Non abbiate paura del Pd e neanche di Matteo Renzi». Andrea Orlando, nel nome di Pio La Torre, chiede agli elettori di votare alle primarie per «non consegnare il Paese alla peggiore destra che abbiamo mai conosciuto».
È il momento che riconcilia i duellanti e spazza via veleni, colpetti bassi e il «troppo trucco sul viso di Renzi», notato da molti lettori sui social. Lo scontro è sulle larghe intese. Emiliano le boccia, «perché hanno fatto male a tutti». Orlando gli fa eco: «Mai più patti con Berlusconi». Renzi invece apre e ricorda, alludendo a Letta, che «il governo con Berlusconi lo hanno già fatto». Sì o no, dunque? «Deciderà il Parlamento». E quando Orlando domanda a Renzi se escluda la possibilità di alleanze con FI, la replica dell’ex premier è sincera: «Non si possono escludere larghe intese se ci sarà il proporzionale, io lavorerò perché non ci siano». Emiliano, lasciati fuori dagli studi la carrozzella e il corno «contro la jella toscana», alza un muro contro l’ipotesi di governo con il Cavaliere. Tra il governatore e l’ex premier la simpatia non corre. «Se perdo sosterrò il vincitore — promette Renzi — e tu, Michele?». La risposta di Emiliano è spiazzante: «Assolutamente no».
Il conduttore Fabio Vitale lancia ai duellanti la palla di Alitalia, Renzi denuncia la «sagra degli errori» e prova a buttarla in rete: «Se sarò segretario, entro il 15 maggio farò una proposta al governo». Emiliano lancia la patrimoniale (Orlando è d’accordo, Renzi no) e punzecchia sui bonus il «testardissimo Renzi», il quale alza il dito indice per chiedere la replica. E il conduttore, pensando agli ascolti: «Ci siamo riscaldati...». Avanti dunque, sul terreno minato dei diritti. Il tema è l’eutanasia e i tre lesti lo schivano, dicendosi favorevoli alla legge sul testamento biologico. E qui Orlando ricorda quando il Papa lo chiamò e non gli chiese del fine vita, ma «di occuparmi dei detenuti». A Emiliano il Pontefice domandò invece di garantire la salute dei bambini, rivela il governatore. E Renzi rivendica il «passo avanti sui diritti» impresso all’Italia dal suo governo: «Sono cattolico e quando entro in chiesa mi tolgo il cappello, non la testa».
Frecciatine e piccole cortesie tra amici-nemici. «Andrea è stato un buon ministro dell’Ambiente», gli strizza l’occhio Michele in chiave anti-Matteo. Renzi loda Orlando, ma con buona dose di malizia: «Siamo una squadra, in Cdm hai votato sempre insieme a me». E ancora, dopo gli spot: «Ho l’impressione Andrea che tu sia stato su Marte in questi anni». Emiliano rispolvera il suo cavallo di battaglia, «Pd partito dei petrolieri». Renzi fissa la telecamera, Emiliano ironizza sulla tarantella fatale che gli ha causato la rottura del tendine d’Achille, Orlando strappa la prima risata del pubblico: «Non mi ricordo le regole!». La seconda la chiama il presidente della Puglia quando domanda al candidato della sinistra «come hai fatto a resistere al governo con Renzi?». Immersi nelle luci azzurro mare, i tre aspiranti segretari del Pd affrontano la legge elettorale. Per Orlando, in sintonia con Mattarella, è «la priorità assoluta». Per Renzi il solo parlarne è «evocare una ferita», visto che lui ha dovuto lasciare Palazzo Chigi perché ha perso il referendum e ora «c’è la palude».
A tre giorni dal voto, spunta la polemica sull’uso dei monumenti in chiave gazebo. Renzi chiuderà la campagna a Caserta con Franceschini e il direttore della Reggia e gli orlandiani protestano: «Grave strumentalizzazione a fine elettorali di monumenti che sono un bene comune». Intanto, fuori dal piccolo schermo, Pisapia lancia appelli a Renzi perché accetti di gettare le basi, assieme, di un nuovo centrosinistra. Ma il leader in pectore del Pd è già in corsa verso le urne: «Il vincitore delle primarie sarà il candidato premier». La sentenza, per quanto scolpita nello Statuto, sembra destinata a disfare la paziente tela di Pisapia.