Memorie Carteggio e inediti di uno scultore Le «correzioni» di Arturo Martini
Ha sei anni Arturo Martini (1889-1947) quando nella natia Treviso la sua famiglia, poverissima, si trasferisce in una delle torri medievali che il Comune concedeva gratuitamente agli indigenti. Luoghi che, visti da fuori, avevano un certo fascino, ma umidi e insalubri all’interno. Non c’era solo la miseria in casa Martini, ma anche forti contrasti fra i genitori («Per trent’anni non li ho mai visti parlarsi, né mangiare insieme»). Col passare del tempo, la madre è costretta ad affittare una stanza a una mondana che spesso — nelle ore libere — porta il bambino in giro per la città. Un giorno, in un sottoportico, la donna è costretta ad accovacciarsi per fare pipì. Una rivelazione per il piccolo Arturo: «Visione del grande deretano sui tronchi delle cosce, bianco, che esplode. Tempio. Estasi. A due anni ho avuto vent’anni. Ho capito la forma», annoterà molto tempo dopo.
È uno degli episodi, questo, ricordato nelle prime pagine del volume Martini, la vita in figure di Elena Pontiggia (Johan & Levi, pp. 304, € 25), in cui, assieme a nuovi dati biografici, si registrano una serie di inediti e vengono richiamate alcune curiosità che inquadrano anche le sedici sculture di Martini esposte nella rassegna I volti e il cuore — sempre curata da Elena Pontiggia — al Museo del Paesaggio di Verbania (Palazzo Viani Dugnani, sino al 1° ottobre), assieme a lavori di Ranzoni, Troubetzkoy, Alciati, Browne, Funi, Bisi Fabbri, Tozzi, Sironi e altri. Dell’artista trevigiano sono presenti terrecotte (Busto di fanciulla, Testa di ragazza: «Martini pensa in terracotta, come Fidia in marmo», scriverà Massimo Bontempelli nella sua monografia del ’39), gres policromo (La cacciata dal Paradiso), bronzi (La scoccombrina), legni (L’attesa), gessi (Incontro, Nudino, Acrobati, Lavandaie al fiume, Can-can).
Inediti, si diceva. La monografia della Pontiggia accoglie il carteggio dello scultore veneto con il poeta futurista Francesco Meriano a Bologna (fra le curiosità, la notizia che, nel 1917, Pietro Nenni voleva Martini come collaboratore al «Giornale del Mattino» da lui diretto), fotografie (l’allestimento a Monaco dell’epoca della Glyptothek, col Fauno addormentato, soggetto di costanti ispirazioni; lo studio dello scultore con I morti di Bligny in primo piano); lettera a Mussolini in cui Martini recrimina di essere stato dimenticato.
E ancora, interessantissima, una missiva a Ugo Ojetti in cui l’artista si lamenta di Margherita Sarfatti («Lei ha avuto sempre dei cattivi informatori sul mio conto e credo che l’originale Martini è tutt’altro, scherza poco lavora molto conosce la storia e il posto fatale di ognuno e, al contrario degli altri, che il fine è guadagnare, vendere; in lui invece c’è il desiderio infinito di vendere per appagare un sogno: vedere Olimpia con le sue statue andare a Londra per il Museo di scultura… ah! Alla Sarfatti non sono più simpatico e dire che quando le ero simpatico faceva certi viaggi, ma ora cerca persino di escludermi dalla più piccola citazione e parla parla parla delle mie tre scimmie, due allievi personali dichiarati, e uno rubacchiàno delle opere mie e cioè Ruggeri… Messina… Rambelli… Ecco i geni italici, roba da operetta»), cartoline di Marinetti futurista, e molte altre notizie (fra cui il rapporto, nel 1912, con Kupka e il suo influsso nella stagione futurista di Martini).
Non solo. Ci sono anche alcune correzioni che riguardano date e personaggi. Qualche esempio: a Parigi il mercante di Martini non è Clovis Sagot (morto nel 1912), ma Edmond Sagot; non è Mitrofan Rukavishnikov (che morirà nel Tra le lettere, una a Mussolini in cui Martini recrimina di essere stato dimenticato