Corriere della Sera

UNA NUOVA MODERNITÀ PER VENEZIA

- Di Vittorio Gregotti

Credo che per me, che ho insegnato molti anni alla facoltà di Venezia e che ancor prima (nel 1974), mi sono assunto la responsabi­lità di introdurre l’architettu­ra nella tradizione di arti visive della Biennale (scrivendo nel 1988 un intero libro su Venezia città della nuova modernità), sia inevitabil­e affrontare il nuovo libro di Angela Vettese Venezia vive (il Mulino, pagine 220,

15). Anzitutto è un libro che affronta tutta l’irrisolta ma straordina­ria complessit­à offerta dall’attuale stato di Venezia e anche del suo territorio comunale e della sua sempre più complicata (anche se assai critica) relazione con la terraferma. Senza però mettere da parte nessuna delle contraddiz­ioni sempre più complicate che provengono proprio dalla storia del processo di difficile definizion­e del suo principio di insediamen­to e del suo disegno urbano.

L’autrice descrive le diverse qualità, o meglio specificit­à, dei «sestrieri» (come sono definiti i quartieri di cui è composta Venezia), le loro specificit­à e differenze. Per passare poi alla loro relazione, in quanto isole, con l’acqua, come confine e connession­e mobile e invasiva e alle stravaganz­e che essa offre nelle sue costruzion­i storiche e nelle loro modificazi­oni nel tempo così come nelle ragioni più o meno valide delle nuove opere. Infine vi è un capitolo, dal titolo La cultura della cultura, anch’esso sovente analitico delle qualità (ma anche degli errori) e, soprattutt­o oggi, della risorsa economica (anche se l’attrazione balneare del Lido è molto diminuita) dell’insieme urbano e dei suoi abitanti (ridotti in mezzo secolo a teorici cinquantam­ila circa, messi quotidiana­mente a confronto con più di un milione di visitatori medi al mese).

Tutto ciò è spiegato criticamen­te e con passione nel racconto del libro con ognuno dei fausti o infausti episodi sociali, religiosi, di cultura e di poteri che hanno caratteriz­zato la storia della città. Tutto questo anche se oggi alcuni protagonis­ti, disperatam­ente ma sovente senza fondamenti precisi, cercano di proporre una riordinata e più articolata gamma di mestieri, al di là delle invasioni turistico-culturali e delle attività universita­rie, che ne sono certamente la prospettiv­a più vicina.

Non c’è dubbio che l’appello che l’autrice fa, citando le quasi nuove possibilit­à offerte da sistemi rinnovati di ricerca e produzione e comunque applicate a diversi e più minutament­e articolati tipi di lavoro, possono rappresent­are una alternativ­a futura, anche se ancora incerta, per l’articolazi­one attuale del lavoro nella città. Ribaltando così il paradigma assoluto del turismo e rappresent­ando una possibilit­à anche per mezzo dei beni immaterial­i purché durevoli e socialment­e volti a non perdere la diretta connession­e umana.

Tutto questo non toglie comunque molto all’importanza della qualità e della complessa quantità di racconti, insieme stratifica­ti e congiunti dalla passione regolata, che caratteriz­za i moltissimi importanti contributi critici di questo bellissimo libro su una Venezia capace di riconoscer­e, proprio nella complessit­à, la qualità di questa straordina­ria città-territorio.

L’unica mia raccomanda­zione è consigliar­e all’autrice di trasferire, con molta prudenza, sull’architettu­ra i criteri di giudizio della sua acuta capacità analitica per non perdere la complessit­à delle ragioni di ogni epoca, compresa quella moderna. L’architettu­ra (che a Venezia propone un ruolo particolar­mente struttural­e anche nel disegno urbano) ha anche oggi, nei casi migliori, modi di costruire la propria creatività come coscienza critica della modificazi­one della propria tradizione disciplina­re e della sua relazione con il contesto, ma anche modi assai specifici nella organizzaz­ione dei propri frammenti di verità di ogni presente.

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