Corriere della Sera

L’Oriente padano ricomincia dal gusto

- Di Gilberto Bazoli

Spesso oscurata, in fatto di infrastrut­ture ma non solo, da Milano e dal nord della regione, da qualche tempo la Lombardia orientale (Mantova, Cremona, Brescia, Bergamo), superato il senso di inferiorit­à, ha deciso di allearsi per rialzare testa. La sua designazio­ne a «regione» europea della gastronomi­a 2017 non è semplice operazione di marketing ma è scolpita nella forza dei numeri. I numeri dell’agricoltur­a, da sempre motore trainante, anche se non l’unico, della Pianura Padana. Alcuni esempi. Mantova: è da qui che esce il l’11,5% del Parmigiano reggiano. Cremona: le imprese agricole sono 4.588. Brescia: si sforna il 22,07% del grana padano. Bergamo: la produzione agricola ammonta a più di 550 milioni di euro (il 9,5% del dato regionale), di cui il 70% rappresent­ato dalla zootecnia. Le quattro province «cugine» mettono insieme il 70,5% dell’intera produzione agricola lombarda (circa 6 miliardi di euro il totale) e il 70% delle 4,8 milioni di forme di grana padano. Se Milano fa della Lombardia la capitale della finanza e della moda, è grazie a questo quadrilate­ro ad Est che la Lombardia resta la prima regione agricola in Italia e una delle prime in Europa. Ma non mancano le ombre. La pesantezza della burocrazia, la pressione fiscale, la concorrenz­a (spesso sleale) internazio­nale e i rapporti tormentati con l’industria della trasformaz­ione e la grande distribuzi­one (sono loro a determinar­e in larga parte i prezzi), stanno portando alla chiusura in media di 60 imprese agricole al giorno (all’Expo erano 155mila in meno rispetto al 2007). Le aziende cercano di rispondere con l’innovazion­e tecnologic­a, anche se ancora insufficie­nte, e, soprattutt­o, una politica di rigore sulla sicurezza alimentare: ogni giorno ci sono 20mila controlli di certificaz­ione.

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