Benzina italiana
I nostri preparatori atletici allenano Juve, Monaco, Real, Chelsea e Bayern «Antica e moderna, grande scuola»
Pincolini Arcelli, Vittori e Bosco andavano poco d’accordo tra loro ma hanno formato un’intera generazione che ha cambiato il calcio
La Juventus di oggi in qualche modo è nata alle pendici della Sila, dove nel 2004 la Spal di Allegri era in ritiro. E dove l’allenatore conobbe il preparatore atletico Simone Folletti, alle prime armi come Max e grande tifoso spallino. Il feeling tra l’ex calciatore e l’ex pallavolista, uno più disincantato l’altro più dogmatico, non fu immediato. Ma tredici anni dopo Allegri (col vice Landucci) e Folletti — che ha perfezionato la sua formazione alla scuola di Conconi a Ferrara — sono ormai una cordata unica, pronta alla scalata più importante della carriera, quella verso la mitica Cima Triplete.
La Juve ci arriva in ottima salute, fisica e mentale, al punto da giocare stasera a Bergamo contro l’Atalanta con una formazione quasi identica a quella che mercoledì andrà in scena a Montecarlo nell’andata della semifinale di Champions. Ma la concorrenza è spietata. E corre con benzina italiana: come il Real Madrid, con il «sergente di ferro» Antonio Pintus, primo acquisto di Zidane (che lo aveva avuto alla Juve) alla guida dei blancos. O il Monaco con Carlo Spignoli, arrivato nel Principato con Ranieri nel 2012 e rimasto anche con Jardim, dove si occupa in particolar modo del recupero degli infortunati.
Senza contare che il Chelsea, probabile campione d’Inghilterra, è tirato a lucido da Paolo Bertelli, che dopo gli anni romani con Spalletti è diventato il braccio di Antonio Conte, anche all’Europeo con la Nazionale. E il Bayern Monaco, sicuro campione di Germania, si affida a Giovanni Mauri, che ha stretto da anni un legame così forte con Carlo Ancelotti da avere inglobato nello staff dei preparatori sia suo figlio sia quello di Carletto.
«Sono i frutti che raccoglie la grande scuola italiana degli anni 80 e 90 — dice Vincenzo Pincolini, storico preparatore del Milan di Sacchi, ora con la Nazionale Under 20 che giocherà il Mondiale in Corea del Sud a giugno —. Nel mondo ammirano la nostra organizzazione, la professionalità, i risultati: basta guardare gli autori della pubblicistica internazionale in materia, che sono quasi sempre italiani. Ho lavorato 7 anni in Russia e rimanevo stupito di quanti nostri ragazzi ci fossero negli staff delle squadre dell’Est. Tra quelli al top che conosco meglio, Bertelli ha una capacità di mantenere la tranquillità in ogni situazione davvero eccezionale. Pintus ha una grande preparazione, unita a una tendenza ad andare a fondo dei problemi. I soldi? Oggi gli staff sono molto numerosi, credo si guadagnasse meglio prima...».
E dire che i curriculum e le esperienze sul campo in molti casi sono impressionanti, per qualità e quantità: Spignoli e Pintus oltre ad avere due lauree a testa, hanno anche una formazione da preparatori di judo, perché per citare José Mourinho «chi sa solo di calcio, non sa nulla di calcio». E la scuola italiana dei preparatori storicamente ha una formazione derivata dall’atletica, con Arcelli e Vittori numi tutelari, assieme al fisiologo Bosco: «Tre figure centrali che tra loro andavano poco d’accordo — spiega Pincolini — ma che hanno formato un’intera generazione che ha cambiato il calcio, aumentando sensibilmente i carichi di lavoro e introducendo metodologie di altri sport. I giovani oggi hanno un’impronta più tecnica. Il preparatore perfetto è un mix di antico e di moderno: sa unire la scienza del Gps alla capacità di fare gruppo e di motivare i giocatori al raggiungimento del massimo sforzo. La chiave è l’empatia, anche con l’allenatore e il resto dello staff. Il sorriso giusto, ma anche certe ritualità da spogliatoio che fanno vivere meglio la fatica, sono l’arma in più. E anche in questo gli italiani sono un passo avanti». E un passo, nell’ultimo sprint, farà la differenza.