Perché il mercato rilancia Torino
So di proporre un esercizio che qualcuno giudicherà «controtempo» ma chi volesse cercare prove sulla bontà della concorrenza (e del mercato) dovrebbe seguire e analizzare cosa sta avvenendo a Torino. Una città che tanti avevano invitato alle dimissioni in corrispondenza del passaggio di secolo e che invece nella seconda metà degli Anni 10 continua a battersi alla grande e si prende le sue (meritate) soddisfazioni. Nessun copione avrebbe potuto prevedere la coincidenza temporale tra il successo del Salone del libro e il sesto scudetto consecutivo della Juventus e invece oggi siamo qui a commentarla. E a pensare legittimamente che la tenuta di Torino è molto di più di un exploit fieristico e di un pur straordinario ciclo di vittorie sportive, è il risultato di un genius loci che ha saputo attraversare le contraddizioni della storia ed è rimasto in campo. Il Salone del Libro quest’anno ha dovuto affrontare una battaglia inedita, quella della concorrenza diretta — a poche settimane di distanza — con un’iniziativa analoga sorta a Milano e concepita in un momento magico della città lombarda. Secondo una visione (statica) del mercato non ci sarebbe dovuta esser gara visti i rapporti di forza e invece è successo esattamente il contrario, il Salone ha ritrovato la forza delle origini e quella si è chiusa domenica è stata — a giudizio pressoché unanime — «l’edizione più bella». Messasi in gioco la città ha reagito e ha segnato un punto a suo favore, ha dimostrato che l’ambizione di ospitare il
più importante Salone culturale del Paese non si basava solo su una rendita di posizione. Anzi.
Per la Juventus si può ripetere la stessa cosa, quella che viene chiamata la Vecchia Signora in virtù dei suoi successi novecenteschi dieci anni fa era in serie B a causa delle sentenze di Calciopoli. Un’onta dalla quale non è era affatto detto che la società riuscisse a riprendersi o quanto meno che vi riuscisse in tempi cosi brevi. E invece è accaduto e il vantaggio competitivo che la società bianconera è riuscita a recuperare e poi ad accumulare è dovuto a un’organizzazione
sabauda e insieme moderna, alla capacità «industriale» di affrontare il calcio come un business maledettamente serio e alcune intuizioni rivelatesi eccezionali (lo stadio di proprietà). La Vecchia Signora si è rimessa in gioco e grazie a un bagno di sana concorrenza è arrivata non solo a primeggiare in Italia ma a raggiungere il gruppo di testa dei club del Continente.
Fin qui abbiamo parlato delle coincidenze di domenica 21 maggio ma sarebbe riduttivo parlare di Torino fermandosi a ciò che è maturato nelle ultime 48 ore. Vale la pena allora ricordare come la capacità di fare i conti con il mercato è un tratto distintivo che riguarda fortunatamente anche l’evoluzione della vicenda Fiat. In tanti l’avevano data per spacciata, qualcuno aveva proposto di farla comprare dalla Finpiemonte e non è andata così: oggi la nuo- va Fca è nel ristretto novero delle compagnie globali che si battono per stipulare le alleanze necessarie a consolidare il settore ed a affrontare le sfide della tecnologia. Nel frattempo (dettaglio non secondario) le vendite dell’industria automobilistica italiana sono servite a sorreggere la lenta risalita del Pil italiano nel post Crisi.
Il genius loci, infine, sembra far sentire la sua forza anche in politica. Per il nuovo sindaco a Cinque Stelle Chiara Appendino è finita la lunga luna di miele che segue sempre un cambio radicale di maggioranza come quello che ha vissuto il Comune di Torino, ma nell’insieme la navigazione prosegue senza scossoni e con apprezzabili consensi. Nemmeno il più pervicace di suoi critici, infatti, paragonerebbe neppure lontanamente la sua giunta a quella guidata da Virginia Raggi.
Prospettiva La formula del successo è imparare dagli errori e mettersi in gioco