Corriere della Sera

IL RICORDO DI FALCONE PARZIALE RISCATTO DI UNA STORIA AMARA

- di Giovanni Bianconi

Davanti al presidente della Repubblica che lo definisce «un punto di riferiment­o in Italia e all’estero per chiunque coltivi il valore della legalità e della civiltà della convivenza», si realizza il parziale riscatto di una storia densa di conflitti, trappole e amarezze: nella stessa aula del Consiglio superiore della Magistratu­ra dove più volte Giovanni Falcone fu chiamato a discolpars­i come un imputato, il potere giudiziari­o al suo più alto livello celebra il «servitore dello Stato» assassinat­o 25 anni fa nella strage di Capaci, e le sue doti di imparziali­tà, indipenden­za ed equilibrio. Ma in vita, quando era l’uomo simbolo di un’antimafia già foriera di divisioni e polemiche, andò diversamen­te. All’indomani della storica vittoria nel maxiproces­so a Cosa nostra il Csm gli negò la nomina a capo dell’Ufficio istruzione di Palermo, dove intendeva proseguire un lavoro che invece fu interrotto; poi arrivarono le calunnie del Corvo e le insinuazio­ni sul fallito attentato all’Addaura, quindi la mancata elezione allo stesso Csm, le accuse di essersi venduto al potere politico e infine il muro per sbarragli la strada verso la neonata Superprocu­ra. Un’ostilità reiterata che solo l’esplosione del 23 maggio 1992 fece cessare. Di tutto questo il Csm di oggi sembra fare ammenda, e offre una sorta di risarcimen­to postumo al magistrato. La frase più citata di Falcone diventa quella sugli avvisi di garanzia che non possono essere distribuit­i «come coltellate», pronunciat­a quando gli rinfacciar­ono di tenere nascoste nei cassetti le prove contro i politici collusi, e che oggi torna utile per altre vicende. Altri ricordano le sferzate verso un Csm «verticisti­co e corporativ­o, cinghia di trasmissio­ne di decisioni prese altrove», che pure si possono adattare all’attualità. Con il rischio strisciant­e di nuove strumental­izzazioni che non aiuterebbe­ro la ricostruzi­one e la memoria di una vicenda su cui è opportuno non smettere interrogar­si.

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