Paolo Gabba
Caro Aldo, si resta esterrefatti nel sentire le affermazioni compiaciute di personaggi istituzionali a commento della manifestazione di Milano. Parlare di «inclusione» è molto «politically correct», ma mistificatoria retorica della realtà. È arcinoto che il Paese non naviga nell’oro e che i pure nostri giovani devono emigrare. A quanto si nota, finora l’integrazione è all’«italiana»: masse di disperati vaganti per strade e città a presidiare parcheggi per piazzare mercanzia, o a elemosinare. I media riportano il grande successo della marcia sull’accoglienza; ma ne siamo certi? Il nostro Stato decide di accogliere migliaia di persone quando non ha basi solide, vige la mafia e la corruzione e le leggi sull’immigrazione sono imprecise e inadeguate. Sistemare i nostri problemi prima di accogliere non sarebbe meglio per tutti?
Laura Soliveri
La Marcia contro i muri è stata fuori luogo e fuori contesto; non aveva nessun obiettivo concreto e serviva solo a dare una momentanea visibilità a qualche politico.
Giuseppe Sasso
Mi dissocio da quella manifestazione. Un pensiero affettuoso ai poliziotti aggrediti alla stazione Centrale di Milano!
Rocco Muia
Bravissimi! Da domani sarebbe bello che chi ha partecipato alla marcia ospitasse almeno uno di quei disgraziati sfruttati da ingordigia e superficialità!
Maurita Pigino
Sono in attesa di una manifestazione a favore di una gestione europea dell’immigrazione che preveda un’accoglienza sostenibile per i singoli Stati. La solidarietà nei confronti dei profughi non può comunque essere disgiunta dai doveri che gli immigrati devono avere nei confronti delle comunità ospitanti. Bruno Cassinari
Cari lettori, avrei volentieri pubblicato anche un intervento in difesa della marcia, ma non ne sono arrivati. Le lettere firmate con nome, cognome e città e le foto vanno inviate a «Lo dico al Corriere» Corriere della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579
Solo reazioni negative alla Marcia contro i muri
lettere@corriere.it letterealdocazzullo @corriere.it
Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere
Caro Aldo,
rientrando da una visita di gruppo al campo di concentramento di Dachau, alcuni nostri studenti si sono così lasciati andare: «I tedeschi dovrebbero tuttora vergognarsi di quello che hanno fatto». L’hanno detto dei ragazzi delle superiori, non reduci di guerra o ex internati. Oso dunque pensare che i giovani d’oggi non cadono dal pero e che, seppur propensi a comprendere, non sono disposti a «saltare» la storia. Mi chiedo e le chiedo: è giusto che le nuove generazioni, oltre a conoscere quei tristi avvenimenti per come si sono svolti, tengano annidato in cuore il risentimento verso un popolo che chissà cosa farebbe per cancellare definitivamente quella orrenda pagina di storia? Gli insegnanti non dovrebbero spronarli a liberarsene?
Caro Alessandro,
Non credo proprio che i nostri giovani covino un sentimento antitedesco. Quando si gioca Francia-Germania, ormai si tifa Germania. La testata di Zidane conta molto più delle migliaia di francesi morti sui campi di battaglia di Magenta e Solferino per la causa dell’indipendenza d’Italia (che, per dirla tutta, nel disegno di Napoleone III doveva diventare una sorta di protettorato francese).
È sicuramente positivo che giovani europei non abbiano motivi di odio o anche solo di malumore verso altri europei. Fino a poco tempo fa, sulle guide delle Langhe era ancora consigliato ai turisti tedeschi di evitare certi villaggi dati alle fiamme dai loro antenati. Ma ormai i testimoni sono quasi tutti morti.
Sarebbe però interessante riuscire a ripristinare la trasmissione della memoria. Visitare Dachau può essere molto «Castelluccio di Norcia, il mio modo per star vicino alla gente tragicamente colpita dal terremoto», ci scrive l’autore dell’immagine, Nico Grande. (Inviate le foto, ovviamente scattate da voi, a questi indirizzi: lettere@corriere.it e su Instagram@corriere) utile. Del Novecento i nostri ragazzi di solito non sanno nulla. Mi chiedo se abbiano un qualche interesse a saperne di più. Intendiamoci: i nostri figli conoscono molte cose che noi alla loro età non sapevamo. Lo studio delle scienze è senz’altro progredito, la tecnologia offre grandi opportunità. Ma la storia non è mai stata così negletta. Perché i nostri ragazzi vivono in un eterno presente, scandito dal ritmo frammentato di WhatsApp e di YouTube, in cui un’ora è un tempo infinito, perché dopo due minuti un video ha già annoiato; e la Seconda guerra mondiale è lontana come la Seconda guerra punica. Così può accadere di trovarsi in una città medaglia d’oro della Resistenza, davanti a trecento ragazzi dell’ultimo anno dei licei, e scoprire che neppure uno, uno solo, ha mai sentito parlare delle Fosse Ardeatine. Si figuri di Dachau.