Bilanci Stefano Mauri: «Il successo del Salone dice che c’è spazio anche per Milano»
da una dei nostri inviati
Il Salone del Libro si chiude con il record dei visitatori e un grande entusiasmo di operatori e città. Ora tutti si chiedono che cosa farà Tempo di Libri, se accoglierà la proposta di Piergaetano Marchetti, presidente dell’Associazione BookCity: unirsi per una grande manifestazione in autunno che metta insieme una prima parte di eventi in città e una seconda fieristica a Rho.
Nicola Lagioia ieri ha detto di aspettare a Torino nel 2018 anche i grandi gruppi. Stefano Mauri, presidente e ad di Gems, risponde da Milano: «Vedremo quale sarà l’offerta sia di Milano, sia di Torino. Date, orari costi. Noi abbiamo la casa editrice torinese e quelle milanesi. Bollati Boringhieri è andata a Torino, quelle milanesi a Milano. I nostri autori però sono andati a Milano o a Torino a seconda delle richieste, mentre alcuni editori che sono andati solo a Torino hanno proibito ai loro di venire a Milano. Una premessa: non siamo i motori, i fautori, della fiera a Milano. Abbiamo votato, insieme alla maggioranza degli editori dell’Aie, e poi siamo rimasti leali alla decisione e quindi abbiamo puntato, sperimentando, su Milano».
Che non è andata bene, mentre Torino sì.
Un’immagine del Padiglione 2 del Salone del Libro al Lingotto di Torino
funzionato in maniera eccellente. Poi forse c’è qualche editore che pensava: vado lì e la gente cade nello stand. Non è così: la devi portare tu».
Volevate farla a maggio.
«Invece è stato scelto il periodo con i maggiori ponti della primavera, quando i milanesi a Milano non ci sono. La città era deserta, si parcheggiava in piazza Duomo. Eppure sono venute 60 mila persone, non è poco. Il weekend ha funzionato benissimo, sono mancate le scuole anche perché è mancato il tempo. Farla a maggio sarebbe stato un atto contro il Salone ma, quando l’Aie ha scelto aprile, Torino ha detto: lo fanno apposta per anticiparci. L’associazione organizza anche Più libri più liberi a Roma e nessuno se n’è mai lamentato. Mi sembra che si sia una milanofobia, un complesso di Milano. Ma non c’è una sola città deputata a fare queste rassegne».
La proposta di BookCity di spostare tutto all’autunno per voi è praticabile?
dei difetti che chi le propone non ha presenti, mentre chi dovrà decidere sì».
Qual è il problema più grave del fare Tempo di Libri in autunno?
«È troppo a ridosso di Più libri più liberi che l’Aie organizza a inizio dicembre. Sono due eventi molto impegnativi dal punto di vista organizzativo e le persone che se ne occupano sono le stesse. Comunque sono tutte cose di cui si dovrà discutere. Immagino che la Fabbrica del Libro lo stia facendo. Però bisogna misurarsi con la concretezza».
Quindi per voi le date migliori sono ancora a maggio?
«No, per noi le date migliori sono da discutere tra i vari operatori, compatibilmente con le disponibilità della fiera di Milano che, a differenza del Lingotto, è molto occupata durante l’anno».
Molti hanno lamentato di aver perso soldi, e anche parecchi, a Tempo di Libri. Voi no?
a Milano perché se si contano i viaggi, il vitto, l’alloggio lo stand e tutti i costi industriali e i diritti d’autore, non si guadagna. Ma questi non sono eventi che fanno vendere lì per lì più libri. È andare incontro ai lettori presentando una produzione più ampia di quella che possono trovare in libreria».
Tempo di Libri deve ripensare la formula?
«Nessuna fiera del libro ha il copyright. Quando Torino parla di Salone-fotocopia mi piacerebbe capire che cosa intende. Si può dare il contorno che si vuole, ma la parte pesante è quella: libri, autori e lettori. A Torino hanno funzionato molto bene le scuole, ma c’era anche un buono di 15 euro della Regione per gli studenti. E poi sovvenzioni per gli editori piemontesi. A Milano non c’era questo sostegno pubblico».
È un messaggio per i ministri Franceschini e Fedeli, visto che Mibact e Miur sono tra i soci del Salone?
«Sì, ma anche per Maroni perché la Regione Piemonte ha aiutato Torino, non altrettanto ha fatto la Lombardia con Milano».
Domani si decide chi sarà il nuovo presidente dell’Aie. La partita sarà tra Federico Motta e Ricardo Franco Levi.
«Levi non è il mio candidato. Come altri 7 consiglieri, in Aie ho un ruolo di saggio. Il ruolo è quello di ascoltare la base e sentire se ci sono dei candidati. Ho svolto questo ruolo e ho prospettato, ma anche Antonio Monaco lo ha fatto indipendentemente da me, la disponibilità di Levi a candidarsi. Non posso esprimere preferenze e del resto non ho il voto».
Una presidenza più morbida potrebbe aiutare i rapporti con Torino?
«Se qualcuno potesse leggere i verbali, noterebbe che il mio ruolo è sempre stato di mediazione, salvo quando da Torino sono arrivate bastonate agli editori. Bisognerebbe lavorare tutti dalla parte del libro e dei lettori. Per questo alla politica dico di sostenerle entrambe. Non ci sono lettori di seria A e lettori di serie B».