Corriere della Sera

Aveva scelto l’abito e imparato le canzoni La bimba di 8 anni al suo primo concerto

- Paola De Carolis

Adorava leggere e scrivere storie. Le piaceva giocare a calcio. Quello di Ariana Grande era il primo concerto della sua vita, una serata che Saffie aspettava da mesi. «Un’uscita da grandi» assieme alla sorella Ashlee e alla mamma Lisa. Si è conclusa nella tragedia. Saffie Rose Roussos è la vittima più giovane dell’attentato di Manchester. Aveva otto anni. Frequentav­a il terzo anno della Tarleton Community Primary School, vicino a Preston, dove il preside Chris Upton la ricorda come «una bambina meraviglio­sa, in tutti i sensi della parola». E ancora: «Era amata da tutti, generosa, gentile, modesta». La notizia, ha detto, «è uno choc terribile. Ha spezzato il cuore di tutti noi, allievi e insegnanti». Non solo il loro. I genitori di Saffie sono proprietar­i di un ristorante di fish and chips a Layton, nel Lancashire. Papà Andreas, originario di Cipro, è rimasto solo a casa. I fratelli lo stanno raggiungen­do da Nicosia. Lisa è in ospedale a Manchester, Ashlee è ricoverata a Bolton. Verranno riunite al più presto, per affrontare il dolore insieme. Per alcune ore, ieri, hanno continuato a sperare. Al momento dell’esplosione Saffie era sparita. Lisa e Ashlee l’avevano persa di vista. Le ricerche erano continuate, disperate, nello stadio, dove erano stati portati bambini e ragazzi soli, negli alberghi attorno all’arena, che avevano spalancato le porte a feriti e dispersi. Su Facebook si erano ricorsi gli appelli: «La mia amica Lisa era al concerto con le figlie ieri sera», aveva scritto Hannah Melling. «Lisa e Ash sono in ospedale, ma Saffie non si trova. Per favore aiutateci. Contattate­ci se avete informazio­ni». Kate Tinsley, mamma di Jessica, un’amica di Saffie, aveva affidato ai telegiorna­li le sue paure. «Aspettiamo tutti qualche notizia. Siamo molto preoccupat­i, siamo tutti a pezzi». Nel pomeriggio la conferma. Saffie non ce l’ha fatta. In tv, sui social media, scorrono le sue foto con la divisa blu e rossa della scuola, un’altra con un filo di rossetto sulle labbra. Il suo sorriso timido e dolce diventa il simbolo di una barbarie senza senso, che ha colpito i giovani e gli indifesi. Famiglie, bambini, ragazzi. Tutti lì per quello che doveva essere un appuntamen­to speciale e che invece rimarrà per sempre impresso nel ricordo per le ragioni peggiori. Saffie, raccontano le altre mamme della Tarleton School, aveva le stesse abitudini, gli stessi interessi, le stesse passioni di tante sue coetanee. «La vedevano entrare a scuola la mattina, era sempre allegra», racconta Toria. «Del concerto — dice Michelle, madre di un compagno di classe di Saffie — aveva parlato con i suoi amici. Aveva raccontato nei particolar­i cosa avrebbe indossato. Lei e le sue amiche avevano passato ore a discutere quali erano le canzoni migliori, le avevano cantate per giorni in cortile all’ora di ricreazion­e». Una vita spezzata quasi ancora prima di cominciare. «Aveva tanti piani, c’erano tante cose che voleva fare da grande». Rimarranno solo sogni.

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