NELLE NOMINE DEI VERTICI SERVE PIÙ TRASPARENZA
Caro direttore, Sergio Rizzo, con l’articolo «Pendenze e nomine trasparenti. Le promesse mancate dei sindaci» (Corriere, 16 maggio, Cronaca di Roma) ha rilanciato, con ostinata passione civile e la consueta incisività, il tema della trasparenza delle nomine di vertice nelle società partecipate dagli Enti locali, Regioni e Comuni. Rilancio tempestivo, a ridosso della conclusione della stagione delle assemblee per l’approvazione dei bilanci e il rinnovo delle cariche sociali in scadenza. Anche quest’anno, nella grande maggioranza di casi, si è confermata la «regola» della opacità delle procedure di nomina, all’insegna di non esaltanti ripartizioni e scambi della politica — quella con la p «minuscula», per mutuare la salutare rampogna di papa Francesco.
Ben poco dunque è cambiato, nonostante le campagne promosse da associazioni civili (Pubblici cittadini, Movimento consumatori, Transparency International Italia, Riparte il futuro, Cittadinanzattiva, e altre) per arginare una espressione degenerativa della vita delle istituzioni locali.
Espressione tanto più insidiosa in quanto, a differenza di quanto solitamente avviene per le nomine di vertice nelle grandi società partecipate dallo Stato — l’importanza strategica delle quali fa accendere i riflettori della grande stampa e delle rappresentanze nazionali di imprenditori e lavoratori — gli accordi che portano a disegnare i vertici delle società locali non escono spesso dalle stanze delle segreterie partitiche locali (d’intesa con referenti esterni, altrettanto opportunamente nell’ombra).
Si sceglie così, al riparo da occhi indiscreti, chi andrà a governare servizi che toccano da vicinissimo la vita quotidiana dei cittadini: dalla sanità ai trasporti allo smaltimento dei rifiuti alla fornitura di energie. Non stupisce che altrettanto spesso — e qui, come sempre, Rizzo non teme di fare «nomi e cognomi» — questo metodo promuova persone di incerta competenza, e talora di incerta moralità pubblica, il cui merito maggiore sta ora nella parentela, ora nella «fedeltà», ora nell’ «appartenenza».
Con una ulteriore ricaduta negativa: questi vertici a loro volta attueranno una politica di assunzioni e di promozioni sulle medesime basi: una sorta di feudalesimo del demerito, alla radice di tante inefficienze, sprechi, corruttele nella gestione dei servizi pubblici locali.
La potenza preponderante degli interessi clientelari che alimenta l’opacità spiega perché siano così rari i casi in cui l’ente locale ha seguito procedure trasparenti, in particolare quelle che prevedano (scoraggiando candidature «impresentabili») che le nomine di vertice delle partecipate siano precedute da una pubblica audizione (dunque aperta anche alla stampa), nella quale i candidati siano chiamati a discutere del loro curriculum, com- petenze, eventuali incompatibilità, conflitti di interesse, status penale.
Casi certo meritori, ma rari, rarissimi: fiammelle che fanno risaltare il buio tutt’intorno. Si conferma dunque l’insufficienza di semplici e pur forti appelli al senso civico degli amministratori locali. Una legge, pur rispettosa delle autonomie, dovrebbe prescrivere che i Regolamenti degli enti locali istituiscano procedure di nomina effettivamente in grado di favorire l’affermazione di requisiti di competenza e probità.
È questo l’obiettivo che l’associazionismo civile dovrebbe oggi proporsi, confidando nel sostegno della stampa più autorevole.
Presidente del Movimento consumatori