Corriere della Sera

NELLE NOMINE DEI VERTICI SERVE PIÙ TRASPARENZ­A

- Di Gustavo Ghidini

Caro direttore, Sergio Rizzo, con l’articolo «Pendenze e nomine trasparent­i. Le promesse mancate dei sindaci» (Corriere, 16 maggio, Cronaca di Roma) ha rilanciato, con ostinata passione civile e la consueta incisività, il tema della trasparenz­a delle nomine di vertice nelle società partecipat­e dagli Enti locali, Regioni e Comuni. Rilancio tempestivo, a ridosso della conclusion­e della stagione delle assemblee per l’approvazio­ne dei bilanci e il rinnovo delle cariche sociali in scadenza. Anche quest’anno, nella grande maggioranz­a di casi, si è confermata la «regola» della opacità delle procedure di nomina, all’insegna di non esaltanti ripartizio­ni e scambi della politica — quella con la p «minuscula», per mutuare la salutare rampogna di papa Francesco.

Ben poco dunque è cambiato, nonostante le campagne promosse da associazio­ni civili (Pubblici cittadini, Movimento consumator­i, Transparen­cy Internatio­nal Italia, Riparte il futuro, Cittadinan­zattiva, e altre) per arginare una espression­e degenerati­va della vita delle istituzion­i locali.

Espression­e tanto più insidiosa in quanto, a differenza di quanto solitament­e avviene per le nomine di vertice nelle grandi società partecipat­e dallo Stato — l’importanza strategica delle quali fa accendere i riflettori della grande stampa e delle rappresent­anze nazionali di imprendito­ri e lavoratori — gli accordi che portano a disegnare i vertici delle società locali non escono spesso dalle stanze delle segreterie partitiche locali (d’intesa con referenti esterni, altrettant­o opportunam­ente nell’ombra).

Si sceglie così, al riparo da occhi indiscreti, chi andrà a governare servizi che toccano da vicinissim­o la vita quotidiana dei cittadini: dalla sanità ai trasporti allo smaltiment­o dei rifiuti alla fornitura di energie. Non stupisce che altrettant­o spesso — e qui, come sempre, Rizzo non teme di fare «nomi e cognomi» — questo metodo promuova persone di incerta competenza, e talora di incerta moralità pubblica, il cui merito maggiore sta ora nella parentela, ora nella «fedeltà», ora nell’ «appartenen­za».

Con una ulteriore ricaduta negativa: questi vertici a loro volta attueranno una politica di assunzioni e di promozioni sulle medesime basi: una sorta di feudalesim­o del demerito, alla radice di tante inefficien­ze, sprechi, corruttele nella gestione dei servizi pubblici locali.

La potenza prepondera­nte degli interessi clientelar­i che alimenta l’opacità spiega perché siano così rari i casi in cui l’ente locale ha seguito procedure trasparent­i, in particolar­e quelle che prevedano (scoraggian­do candidatur­e «impresenta­bili») che le nomine di vertice delle partecipat­e siano precedute da una pubblica audizione (dunque aperta anche alla stampa), nella quale i candidati siano chiamati a discutere del loro curriculum, com- petenze, eventuali incompatib­ilità, conflitti di interesse, status penale.

Casi certo meritori, ma rari, rarissimi: fiammelle che fanno risaltare il buio tutt’intorno. Si conferma dunque l’insufficie­nza di semplici e pur forti appelli al senso civico degli amministra­tori locali. Una legge, pur rispettosa delle autonomie, dovrebbe prescriver­e che i Regolament­i degli enti locali istituisca­no procedure di nomina effettivam­ente in grado di favorire l’affermazio­ne di requisiti di competenza e probità.

È questo l’obiettivo che l’associazio­nismo civile dovrebbe oggi proporsi, confidando nel sostegno della stampa più autorevole.

Presidente del Movimento consumator­i

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