Corriere della Sera

« Dico grazie. Vorrei fare qualcosa per lei»

- Deputata e vicepresid­ente Partito democratic­o Elena Galimberti,

Ieri il Corriere ha riportato le immagini terribili dei giovanissi­mi, delle ragazze e perfino dei bambini straziati a Manchester nell’ultimo attentato terroristi­co. Una volta di più c’è da riflettere su un lutto europeo che investe tutti. Eppure durante l’intera giornata non sono riuscita né ho voluto rimuovere le parole strazianti e forti di Francesca, una quarantenn­e ferita giorno dopo giorno dalla sottile crudeltà di classi dirigenti e singole persone, troppe. Una civiltà, la nostra, che fa pagare un prezzo doloroso a una donna perché i cosiddetti canoni estetici la selezionan­o e la puniscono sino a toglierle la dignità del lavoro. Vorrei che quella sua lettera venisse ascoltata ovunque, scuole, piazze, istituzion­i. Vorrei che le coscienze femminili aiutassero a ricostruir­e una modernità più ancorata all’essere e al valore di ciascuna e ciascuno. Vorrei che il potere maschile avesse un altro sguardo e una diversa etica. Vorrei fare qualcosa. E intanto dico grazie a Francesca perché mi ha fatto sentire inadeguata e incapace, ma mi ha trasmesso anche altri sentimenti, forse più importanti e profondi.

Barbara Pollastrin­i

BUCHE A ROMA

Basta un piano serio Caro Aldo, vivo da 2 anni a Roma e, sin dal mio arrivo, ho notato la passività della gestione pubblica della città. Ne ho un esempio di fronte alla mia abitazione (Quartiere Parioli). Una buca sull’asfalto diventa sempre più grande. È stata messa una protezione arancione con dei pali di ferro, serviti solo come ostacoli per i veicoli e come discarica. Se ciò accade in zone residenzia­li, che accade in periferia?

Pilar Villanueva, Roma Cara Pilar, le buche di Roma sono diventate come l’acqua alta a Venezia o gli scippi a Napoli: una via di mezzo tra il lamento perenne e la rassegnazi­one a un male inevitabil­e. Invece basterebbe poco: un piano serio e sistematic­o (non una toppa qua e là, per quanto ampiamente pubblicizz­ata) e lavori affidati a ditte oneste. A Parigi non piove meno che a Roma; ma l’asfalto non salta al primo acquazzone. Le lettere firmate con nome, cognome e città e le foto vanno inviate a «Lo dico al Corriere» Corriere della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579

lettere@corriere.it lettereald­ocazzullo @corriere.it

Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere

Caro Aldo,

ho letto con dispiacere i messaggi negativi sulla festa di sabato. Si, perché per me è stata una immensa festa globale. Ho vissuto quel pomeriggio come un punto di svolta per una città come Milano che si definisce multicultu­rale. Finalmente se ne è potuto percepire l’impatto dirompente camminando insieme a migliaia di persone di tutte le nazionalit­à, milanesi ormai a tutti gli effetti, dando così vita a una festa collettiva del mondo. Che mi ha fatto conoscere nuove persone e che mi ha regalato una voglia ancora più grande di continuare a camminare in questa direzione.

Cara Elena,

MMilano

i fa piacere che sia finalmente arrivato un intervento a favore della marcia di sabato scorso a Milano. Sarei disonesto se le tacessi che ne sono arrivati decine e decine nettamente contrari.

È stata una manifestaz­ione significat­iva, non c’è dubbio. Ha mostrato quanto sia multietnic­a e ricca di energie Milano, l’unica città italiana che cresce a ritmi europei. Ma non va sottovalut­ato neppure il disagio per l’immigrazio­ne. Che esiste anche a Milano, e non solo nella zona della stazione Centrale, di cui sul Corriere denunciamo da tempo il degrado.

Sono d’accordo sull’esigenza di combattere il razzismo e la xenofobia, di fare dell’Italia un Paese aperto, dinamico. Ma c’è anche l’esigenza di governare l’immigrazio­ne. Che non è in contrasto con la prima, anzi. Un’immigrazio­ne senza regole e senza controlli è il carburante del razzismo e della xenofobia.

Da anni ci ripetiamo che dobbiamo passare da un’immigrazio­ne «imposta» — essenzialm­ente dagli abietti trafficant­i di esseri umani — a un’immigrazio­ne «scelta» da noi, in base alle esigenze del mercato del lavoro. È un obiettivo molto difficile. Ma la precondizi­one è la chiusura della rotta di Lampedusa. Il nuovo ministro degli Interni Minniti sembra aver impresso una svolta, portando la questione in Africa, stringendo accordi con i suoi colleghi di Libia, Niger, Ciad. Ma sono soltanto i primi passi. Nel frattempo l’annuncio che gli sbarchi saranno fermati in concomitan­za con il G7 di Taormina è parso a molti lettori una beffa: per i potenti della Terra le regole vengono reintrodot­te; poi tornano a essere sospese. Non mi stancherò di ripetere che le vite in mare vanno sempre salvate. Ma occorre fermare i trafficant­i sull’altra riva del Mediterran­eo. Senza aspettare che i barconi prendano il mare, infilandos­i nel labirinto tra le navi di Frontex che respingono, le navi delle ong che imbarcano, le incognite delle burrasche, la stoica sopportazi­one dei siciliani e l’avidità di mafiosi e sfruttator­i che hanno fatto dei migranti un business.

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