ChemChina con Sinochem, un gigante da 120 miliardi
Pechino studia l’ipotesi di fusione nella chimica
Serve soltanto il via libera della potentissima «Commissione per la supervisione e l’amministrazione», diretta emanazione del governo di Pechino. Controlla sia ChemChina, sia Sinochem: i primi due gruppi chimici cinesi. Ora il partito comunista, al potere da oltre 60 anni, avrebbe deciso: il matrimonio si farà. Perché serve ad assorbire finanziariamente l’acquisto del gruppo svizzero di fertilizzanti Syngenta da parte di ChemChina per 43 miliardi di dollari.
Una cifra monstre, grazie ad un mix di prestiti bancari (tramite un consorzio guidato da Hsbc), capitali propri e il sostegno del conglomerato cinese Citic. La fusione tra ChemChina e Sinochem serve a consolidare il settore agrochimico. A creare un campione globale capace di controllare la tecnologia nei semi, negli erbicidi e nei pesticidi, nonostante la diffusa opposizione nazionale alle colture geneticamente modificate. Il nuovo gruppo avrebbe un valore di 120 miliardi di dollari.
Fonti vicine al dossier, riportate dal Financial Times, segnalano come l’establishment cinese non avesse visto di buon occhio l’acquisizione di Syngenta da parte di ChemChina e ora avrebbe suggerito al gruppo guidato da oltre trent’anni da Ren Jianxin (che è anche presidente della Pirelli, passata l’anno scorso sotto le insegne di ChemChina) di fare un passo indietro per favorire il consolidamento. Rinunciando alla guida del colosso post-fusione che invece dovrebbe toccare al presidente di Sinochem, Ning Gaoning, apprezzato per l’audacia con la quale ha condotto l’operazione Cofco, produttrice (anche questa di emanazione statale) di grano. Qualche osservatore però maligna sul fatto che Sinochem è ancora un pachiderma statale con un processo decisionale lento.