CAMBELLOTTI, L’AGRA BELLEZZA DELLA TERRA
Nel 1934, Duilio Cambellotti (18761960) lavora ad un ciclo pittorico per il Palazzo del Governo di Latina. Soggetto: La redenzione dell’Agro Pontino, alla cui bonifica, iniziata nel 1926 e durata oltre dieci anni, avevano partecipato 30 mila operai provenienti da tutt’Italia. Nel 2010, lo scrittore-operaio Antonio Pennacchi dedica all’avvenimento il romanzo Canale Mussolini con cui vincerà il Premio Strega. Che cosa accomuna, adesso, l’artista e lo scrittore-operaio che per circa 30 anni ha lavorato alla Fulgorcavi laziale? Subito detto: la mostra dedicata a Cambellotti al Museo Emilio Greco di Sabaudia (sino al 2 luglio). Infatti il catalogo (De Luca) ha la prefazione di Pennacchi.
Negli anni Ottanta lo scrittore vede per la prima volta alcuni lavori dell’artista al Tribunale di Latina, dove viene convocato perché «ogni tanto combinavamo qualche casino». «Confesso — ricorda il romanziere — che non li ho guardati con molta attenzione. Quando fai l’imputato non sai mai come va a finire, tutto pensi tranne che agli altorilievi sui muri. Pure dopo — quando ti dicono “assolto” — pensi solo a scappare fuori. Mica ti volti indietro».
Il secondo incontro va meglio. Pennacchi fa parte del Consiglio di fabbrica e viene ricevuto, con gli altri, dal Prefetto di Latina. «Ci eravamo andati tutti e mille in tuta blu, nella piazza, a urlare e strombettare perché erano quattro mesi che non ci pagavano». Nel salone di ricevimento i delegati sindacali restano colpiti «come una mazzata fra capo e collo» dal trittico La redenzione di Cambellotti. «Tutti con gli occhi in alto stavamo, tutti zitti senza neanche più ricordare — per qualche minuto — perché eravamo venuti. Poi Palude disse: “Ahò!”, mi diede una strattonata, ci riscotemmo e cominciammo ad argomentare». Ecco, talvolta è proprio come «una mazzata fra capo e collo» che i lavori di Cambellotti stupiscono.
Basta visitare questa rassegna, curata da Marco Fabio Apolloni e Monica Cardarelli, della Galleria Laocoonte di Roma, per rendersene conto: gessi (le Dolenti del Monumento ai Caduti di Terracina), bronzi (La corazza, sull’antico guerriero-contadino italico), bozzetti per illustrazioni (Cambellotti prestò il suo genio quasi sempre all’arte applicata, piuttosto che alla «pittura da cavalletto»), tempere, xilografie, acquerelli e disegni (come quelli per la casa dei Mutilati di Siracusa, dove i soldati feriti sono visti come tronchi potati).
Dalle vetrate alle maioliche, da mobili e arredi alle scenografie, dagli allestimenti teatrali (non si dimentichi la prima rappresentazione, nel 1908, de La nave di D’Annunzio, musicata da Ildebrando Pizzetti) ai manifesti (Esposizione internazionale di Roma del 1911), dai costumi per il teatro classico (a Siracusa e Ostia con le tragedie greche tradotte da Ettore Romagnoli) al cinema, alle illustrazioni di libri (ornamenti più che illustrazioni, perché Cambellotti riteneva che il ruolo dell’artista non dovesse essere inferiore a quello dello scrittore).
Artista, Cambellotti, ma anche uomo d’azione. Sempre a riguardo dell’Agro Pontino: se da una parte l’artista sintetizzava in alcune immagini condizioni precarie, malattie e miserie in cui vivevano i contadini; dall’altro, con Cena, Balla, l’Aleramo ed altri si dava da fare per le scuole dei braccianti in modo che questi potessero vivere in un ambiente salubre. Non solo: accanto a pitture, maioliche, mobili e sillabari — spiega Apolloni — Cambellotti «ritrae i paesaggi della campagna sulle pareti scolastiche per far sentire i piccoli all’aperto, pur nella sicurezza dell’istituto». Duilio Cambellotti, Autoritratto (‘40)
Filosofi e poeti hanno di solito un rapporto opposto con le parole: per gli uni sono soprattutto contenitori di concetti, per gli altri oggetti quasi materiali da maneggiare prima di tutto con i sensi. Difficilmente la stessa persona riesce a passare da un uso del linguaggio all’altro. Lo fa la filosofa Nicla Vassallo, che con la sua seconda raccolta Metafisiche insofferenti per donzelle insolenti (Mimesis Edizioni) torna a vestire i panni della poetessa.
Eppure nei suoi versi si scorge prima di tutto la pensatrice, non solo e non tanto perché — come scrive nel testo che chiude il libro — ha cercato di «inserire gocce di filosofia nella poesia» ma perché vi disegna una sorta di biografia sentimentale e insieme intellettuale, benché non cronologicamente ordinata.
L’io narrante delle poesie (che è certo un personaggio letterario ma dietro al quale, visti i riferimenti geografici, esistenziali, teorici e anche della cultura pop, si indovina almeno in parte l’autrice) unisce nel proprio percorso di vita desiderio carnale e desiderio di conoscenza, convinta che l’unione dei corpi sia meno perfetta se non c’è anche quella delle menti. Corpi femminili, che così si sottraggono all’idea che l’eterosessualità sia un destino scontato per le donne, e che cercano una corrispondenza totale, su tutti i piani.
«Per isolarci nella concupiscenza/ e rifugiarci nella conoscenza,/ fatte non foste per viver come brute,/ conoscenza carnale per te/ conoscenza proposizionale per me/ e, hai ragione l’una riesce a
Metafisiche insofferenti per donzelle insolenti di Nicla Vassallo è pubblicato da Mimesis Edizioni (pp. 118, 12) legarsi all’altra» si legge in uno dei componimenti. L’unione però è quasi sempre destinata a fallire: «Di che posso nutrire il mio cuore?/ Non delle troppe donzelle/ dozzinali, che viaggiano dai trent’anni in avanti» si chiede l’io narrante in un’altra poesia, «e neanche le donzelle sui trent’anni fan per me/ coi loro anni adolescenziali da letture elementari, / nei miei divoravo Il trentesimo anno di Ingeborg».
La filosofa riemerge immancabilmente nel senso fortissimo di elitarismo (altrove più volte rivendicato da Vassallo) che è parte integrante del suo percorso. Da qui il titolo: le donzelle hanno sì l’insolenza di suscitare i desideri della poetessa, ma quasi mai sono alla sua altezza che, grazie alla filosofia, è metafisica.
@elenatebano